«L'Italia ha bisogno dello sviluppo del Mezzogiorno per uscire dalla crisi e per avviarsi su un sentiero di crescita più sostenuta. Nessuno può certamente dichiararsi soddisfatto per i progressi sinora compiuti su questa strada». Sono trascorse appena tre settimane da quando il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha esortato la classe politica italiana a compiere una vera svolta nella questione meridionale. Due giorni fa, lo stesso tema è stato ripreso e rilanciato dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, che si è spinto anche oltre: «Per rilanciare il Sud - ha detto Fini - è necessario costruire un nuovo patto con i cittadini del Mezzogiorno. Un patto da parte delle istituzioni che torni a dar loro piena fiducia».
Non c'è dubbio che le massime cariche dello Stato abbiano piena consapevolezza del fatto che nelle attuali condizioni il Sud degrada sempre più irrimediabilmente e con esso anche l'Italia e la sua immagine esterna: non è un caso che larga parte dei giudizi liquidatori che purtroppo subiamo sulla stampa estera derivi proprio dai fattori che caratterizzano proprio il Sud. Criminalità organizzata, inefficienze e arretratezze infrastrutturali e del sistema dei trasporti, degrado dell'apparato pubblico e dei servizi essenziali sono del resto i mali endemici del Mezzogiorno, problemi storici irrisolti che minano la fiducia nelle istituzioni, ostacolano la sviluppo e allontanano non solo gli investimenti esteri, ma persino quelli italiani.
Non è un caso se la Fiat di Termini Imerese sia la fabbrica meno competitiva del Lingotto. O che nel Sud siano ben poche le imprese straniere che abbiano impianti. E soprattutto, non è un caso se la Confindustria abbia deciso di concentrare il suo impegno proprio sul rilancio del Mezzogiorno: da un lato si è deciso di espellere gli imprenditori che non denunciano pizzo e ricatti, dall'altro si chiede anche allo Stato di fare la sua parte.
Nella tesi «Il Sud aiuta il Sud», che sarà presentata oggi al convegno di Bari per il rilancio del Mezzogiorno, la Confindustria pone proprio la questione meridionale come il fattore critico di sviluppo per l'intero Paese.
Di qui l'esigenza che ogni leva economica e finanziaria per lo sviluppo sia accompagnata da un fermo impegno alla legalità, al funzionamento della macchina pubblica - di tutta la macchina pubblica - al rafforzamento delle infrastrutture. Non soltanto di strade, ma anche e soprattutto di infrastrutture civili e di offerta tecnologica. Un esempio soltanto: nell'epoca di Internet le interruzioni di energia elettrica subite dalle imprese meridionali raggiungono indici sconosciuti al resto d'Italia.
Non solo. Ormai impossibile una politica di sviluppo fondata - come nel secolo scorso - sull'impegno pubblico diretto, c'è da tener conto che la mondializzazione dei mercati rende impossibili anche le industrializzazioni forzate. Come a dire che gli aiuti e gli incentivi a pioggia avrebbero soltanto il senso di uno sperpero del denaro dei cittadini.
L'ingresso sui mercati dei Paesi di nuova industrializzazione ha prodotto una nuova ripartizione del lavoro e della produzione, e di questa occorre tener conto per ogni politica di sviluppo. In altri termini, migrano in questi Paesi le produzioni manifatturiere, potendo fruire di manodopera, far west (o quasi) ambientale, prezzi delle materie prime a condizioni "di favore". Ma sono le produzioni a basso valore aggiunto, meno redditizie.
Per noi, per l'Italia e quindi per il sud la vera sfida è nella capacità di declinare insieme inventiva e know how, capacità di innovare e di fare squadra sia utilizzando le nostre capacità, sia stringendo ancor più i rapporti con gli altri. E in questo quadro la notizia del 2009 non è stata la futura chiusura degli stabilimenti Fiat di Termini Imerese, ma la costruzione in Sicilia di impianti per la produzione di una nuova generazione di pannelli solari attraverso una joint venture dell'Enel con il gruppo giapponese Sharp e la Stm.
E poi è ora di sfatare alcuni miti. Per il Sud, ma anche per il Nord, non basta l'edilizia a far riaccendere i motori, vedi i tempi storici delle nostre opere pubbliche e le remore ambientali. E anche il turismo non basta per sviluppare il Mezzogiorno. Ci sono settori nuovi, in cui siamo poco presenti e in cui il Sud potrebbe giocare un ruolo chiave. Quale sarà il nostro ruolo, e quindi anche quello del Sud, nella divisione internazionale del lavoro del dopo crisi?
Insomma, è chiaro oggi che non si instilla nuova linfa vitale nella società civile senza quel salto culturale che soltanto il tessuto produttivo può garantire. Guarda caso, mafia, camorra, 'ndrangheta e Sacra Corona unita sono meno forti proprio nei territori meridionali d'insediamento industriale.