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L'EUROPA INCERTA / Alla Grecia serve il salvagente non certo la camicia di forza

di Roberto Perotti

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19 marzo 2010
Alla Grecia serve il salvagente non certo la camicia di forza

Durante la recessione del 1991-93 i disavanzi pubblici tedeschi dovuti alla riunificazione erano spesso considerati la causa degli alti tassi di interesse. Nella recessione successiva, alla fine del 2001, la Germania stava per ricevere un "early warning" dalla Commissione europea per un disavanzo di bilancio eccessivo. Ora la Germania viene accusata di condurre una politica di bilancio restrittiva, e di causare per questo squilibri in tutta Europa.

Quando le cose vanno male c'è sempre qualche paese che si rifiuta di "fare la locomotiva" (solitamente la Germania a livello europeo e gli Usa a livello mondiale) oppure che la fa nel modo sbagliato (solitamente la Germania a livello europeo e gli Usa a livello mondiale, magari con l'aggiunta della Cina). C'è sempre un paese che importa troppo e fa finanziare i propri squilibri dal resto del mondo, causando bolle speculative (gli Stati Uniti fino al 2008), o che importa troppo poco e impone la deflazione agli altri paesi (la Germania ora). E c'è sempre una politica di bilancio diversa in Germania o negli Usa che risolverebbe tutto.

Alla base di tutto questo ci sono gli squilibri esterni che si esasperano durante le crisi. Per rimanere nel contesto europeo, Grecia e Portogallo hanno disavanzi correnti dell'ordine del 10%, la Spagna del 7%. La diagnosi è che questi squilibri siano la controparte del surplus tedesco, che peraltro si è dimezzato nel 2009. La cura proposta è semplice: o la Germania espande la domanda e compra i prodotti dei paesi in disavanzo, oppure questi devono ridurre la domanda interna, con tutto ciò che ne consegue. Vi sono altre due possibilità, che erano tabù fino a poco fa, ma che sono state recentemente sdoganate dalla signora Merkel: abbandonare l'euro e svalutare; oppure farsi aiutare, magari dal Fondo monetario internazionale se la Ue non si mette d'accordo. Nessuna di queste opzioni sarebbe un dramma, come ho già sostenuto (Il Sole 24 Ore del 16 febbraio e del 12 marzo): ma la prima è un po' estrema, la seconda all'opposto non risolve i problemi di fondo e getta i semi di simili problemi in futuro.

Sia la diagnosi sia la cura sono parzialmente sbagliate. I quattro paesi oggi considerati più a rischio, cioè Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna, avevano nel 2008 i più alti disavanzi di partite correnti nell'eurozona. Nel caso della Grecia c'è un legame evidente fra disavanzo esterno e disavanzo di bilancio. Nel caso della Spagna il problema principale è probabilmente una produttività stagnante da decenni nei settori esposti alla concorrenza estera. Biasimare la Germania per questi problemi è un errore di diagnosi che porta alla cura sbagliata. Se anche un'espansione tedesca ottenesse un po' di respiro per questi paesi, ciò servirebbe soltanto a rimandare di qualche anno la soluzione dei problemi di fondo, che prima o poi essi devono affrontare; nel frattempo risolverli diventerà ancora più difficile.

Ma la cura è sbagliata soprattutto perché irrealistica. A torto o a ragione, la Germania è convinta che adottare una politica di bilancio espansiva non è nel suo interesse. Per ovviare a ciò, l'Europa persegue da anni la chimera del "coordinamento" delle politiche fiscali. Ma la storia del dopoguerra (e, più drammaticamente, del periodo fra le due guerre) ci insegna che è impossibile convincere dei paesi ad andare per un periodo prolungato contro quello che ritengono il proprio interesse. È sorprendente come la chimera del coordinamento resista contro ogni evidenza al contrario, a tal punto che viene da chiedersi se essa non venga usata per evitare di affrontare i problemi interni di tanti paesi.

La risposta di alcuni è che in realtà la politica perseguita dalla Germania va contro il suo stesso interesse; per altri va ripensato il "modello tedesco" orientato alle esportazioni. Questi "suggerimenti" al più grande successo economico del dopoguerra sono poco credibili, soprattutto quando vengono da paesi, compresa l'Italia, che a turno hanno ricevuto il dubbio riconoscimento del paese più a rischio dopo la Grecia. E non c'è nessun modello tedesco, inteso come una politica intenzionale e diretta a perseguire alti surplus commerciali; questi sono il risultato di tanti fattori che continuano a rendere competitivi i prodotti tedeschi e alto il risparmio netto nazionale. Normalmente queste sono considerate manifestazioni di successo, non di fallimento: continuiamo a criticare i paesi con bassa propensione al risparmio e bassa competitività, e poi critichiamo la Germania per l'opposto.

Ma la chimera del coordinamento è anche pericolosa. Oggi noi non sappiamo quale sia la politica fiscale ottimale, come testimonia il comportamento dei mercati. Essi reagiscono male quando ci sono rumori che questo o quel governo possano porre fine alle politiche di stimolo fiscale; ma reagiscono male anche quando sospettano che il debito pubblico di quegli stessi paesi stia aumentando. Queste reazioni contradditorie sono indici della nostra incertezza. La mancanza di coordinamento ha quindi anche un aspetto positivo, perché pone un limite a un'eccessiva espansione fiscale di cui potremmo pentirci amaramente tra pochi anni.

19 marzo 2010
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