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Qualcuno potrebbe obiettare: se si riduce l'importanza del Pil o se comunque la si mitiga utilizzando altri indicatori, si riducono gli incentivi alla crescita. C'è un grafico significativo nel rapporto finale della Commissione Stiglitz. A un campione di donne americane e francesi è stato chiesto quali siano le attività che danno più felicità e quelle più sgradevoli. Risposta: in entrambi i paesi il lavoro e il tempo dedicato al pendolarismo sono le attività che procurano meno soddisfazione. Che cosa piace di più? Gli americani prediligono camminare, mentre in Francia preferiscono giocare, fare l'amore e dedicarsi all'esercizio fisico.
Se questo è vero in generale, aumentare la quantità di lavoro, anche in presenza di significativi e più che proporzionali guadagni, non migliora il benessere. «È un disincentivo alla crescita? Forse. Ma forse è un modo per vivere meglio - osserva Giovannini - ed è pertanto importante interrogarsi sul modello di sviluppo che perseguiamo».
Insomma è più che mai d'attualità il paradosso di Richard Easterlin: non è detto che un aumento del Pil porti con sè un aumento della felicità. Molto spesso per avere più soldi si rinuncia a beni relazionali (famiglia, amicizie, vita sociale, attività politica), cioè in qualche modo si rinuncia al proprio benessere. È qui che emerge la "miseria" del Pil, la cui crescita può diventare un tentativo di nascondere la scarsità di altre fonti di benessere.
orazio.carabini@ilsole24ore.com