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Welfare? Meglio se è d'impresa

di Vincenzo Manes

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19 settembre 2009


Il concetto non è nuovo, ma contiene in sé tutta la semplicità che caratterizza le idee rivoluzionarie: mettere a disposizione dell'intera comunità gli stessi fattori che hanno reso il modello d'impresa italiano un modello vincente. È un'evoluzione di quello che oggi si definisce welfare d'impresa e di cui già Adriano Olivetti fu precursore nel nostro paese.
Si tratta di porre le risorse di un'azienda (economiche ma soprattutto umane) al servizio non solo dei dipendenti ma anche della comunità, affiancandosi al tradizionale welfare state. Il modello classico di welfare sta infatti mutando sotto i colpi di tensioni progressivamente più stringenti, legate alle necessità degli stati di destinare le proprie risorse finanziarie a politiche di risanamento del debito, a investimenti produttivi e infrastrutturali, alla ricerca applicata.
Non sono un caso le difficoltà che sta incontrando negli Stati Uniti la riforma del sistema sanitario nonostante la forte volontà di realizzarla del presidente Obama. È evidente che le esigenze di una società sempre più complessa - multietnica, interconnessa, caratterizzata da nuove forme di lavoro e modi di socializzazione - richiedono un maggiore livello di sofisticazione per essere soddisfatte, e lo stato non è più in grado di assistere il cittadino dalla culla alla tomba.
La debolezza del sistema di welfare classico non può che costituire un call to action per quegli elementi della società che storicamente ne trainano e definiscono lo sviluppo: le imprese. Ancora meglio, gli uomini e le donne che ne rendono possibile la crescita e il successo, e che si trovano davanti al nuovo obiettivo di sostenere attraverso le proprie competenze non solo il welfare pubblico, ma il benessere della comunità, e nel senso più evoluto del concetto.
Il nuovo welfare d'impresa è un modello ricco di potenzialità che attende di essere sviluppato, e si basa su una semplice constatazione: gli stessi vantaggi competitivi che possono generare profitto in un contesto di mercato possono creare valore aggiunto per quei servizi che tradizionalmente si associano al welfare state. Questo modello ricalca la struttura complessa di risorse finanziarie e umane, di competenze, in grado di governare e portare al successo le aziende in contesti competitivi, e le ripropone, con i necessari correttivi, su organizzazioni finalizzate al benessere della comunità.
La sfida è quindi applicare le pratiche d'impresa di maggior successo, basate su un equilibrio economico sano e di lungo periodo, a organismi impegnati nell'applicazione di questo promettente modello. Le enormi potenzialità dell'avvento delle logiche d'impresa nella sfera sociale risiedono nella capacità d'innescare un meccanismo virtuoso basato su due ambiti di contaminazione.
Il primo, già accennato, riguarda il mondo imprenditoriale che costituisce una risorsa straordinaria per lo sviluppo di un innovativo approccio al welfare d'impresa. In questo modo, gli esempi di successo gestionale fluiscono dal profit al non profit in una logica di continuità. Gli skills gestionali e l'expertise accumulati nell'ambito della creazione di profitto vengono così messi a disposizione del non profit e dei bisogni della società.
Il secondo ambito di contaminazione è quello con le best practices internazionali. Una struttura creata su questi presupposti è infatti in grado d'identificare e in seguito interiorizzare le esperienze più significative realizzate da organizzazioni analoghe nel mondo. Possono così contribuire a un rapido miglioramento sistemico. Il nuovo welfare d'impresa sta registrando risultati estremamente positivi nel mondo anglosassone, facendo nascere anche forme d'associazionismo votate allo sviluppo di una cultura che ne valorizzi il modello.
Un esempio è rappresentato dal Committee Encouraging Corporate Philanthropy, di cui Paul Newman è stato uno dei fondatori e di cui da due anni faccio parte. Si tratta di un organismo che riunisce numerosi Ceo e manager dei più rilevanti gruppi Usa come General Electrics, Goldman Sachs, Coca Cola o Ibm. L'obiettivo è di creare un network di relazioni ed esperienze focalizzate sulle iniziative di welfare d'impresa. Sono profondamente convinto che l'Italia abbia le potenzialità per riunire, esprimere e valorizzare le punte d'eccellenza che da sempre caratterizzano il nostro tessuto imprenditoriale, rendendole un potente strumento a supporto di questo modello di welfare d'impresa.
Un impegno che potrebbe anche essere coordinato in seno all'associazione degli industriali, e porterebbe alla creazione di numerose e certamente efficaci esperienze. L'entità dei progetti e i campi di applicazione dipenderebbero naturalmente dalle necessità del territorio e dalle competenze manageriali e finanziarie disponibili. Il risultato sarebbe tuttavia la nascita di un network d'esperienze e iniziative concrete e rilevanti con l'indiscutibile pregio di non attingere a risorse pubbliche: anche pochi progetti in ogni regione italiana avrebbero un impatto sorprendente sul sistema di welfare del paese, e sul benessere dei suoi cittadini.
Vincenzo Manes è vicepresidente esecutivo Kme Group Spa

19 settembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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