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QUESTIONE SETTENTRIONALE / Perché il Nord non guarda più a nord

di Carlo Trigilia

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2 Aprile 2010

Forse mai come in queste elezioni regionali si è parlato meno di regioni. Eppure non mancavano certo temi di grande rilievo su cui confrontarsi. L'economia contemporanea vede infatti lo sviluppo e la qualità sociale sempre più dipendenti da un efficace governo del territorio: disponibilità d'infrastrutture, logistica, servizi alle imprese, servizi sociali e culturali, rapporti con il mondo dell'università e della ricerca. Insomma, le economie esterne di qualità diventano sempre più importanti per l'innovazione.
È per questo che non solo da noi sono andati avanti processi di regionalizzazione: i governi nazionali sono infatti troppo distanti e quelli locali troppo piccoli per affrontare da soli il problema di un governo efficace dei territori. Che implica capacità di produrre beni collettivi necessari per far funzionare meglio il mercato. Ma possiamo essere soddisfatti delle nostre regioni? Contribuiscono a ridurre quelle fratture territoriali profonde che da lunga data affliggono il nostro paese? Come reagiranno al "federalismo fiscale"?
Di tutto questo non si è parlato. Ma ora che i risultati del voto sono arrivati, possiamo chiederci quali implicazioni se ne possono trarre per tali interrogativi così importanti per il paese. Da questo punto di vista, il dato certo più significativo è la forte avanzata della Lega al Nord, che assume un ruolo cruciale negli equilibri del centro-destra. Per il momento, almeno, la partita del governo del territorio sembra giocarsi largamente all'interno stesso del centro-destra. Con quali conseguenze? È presto per dirlo, naturalmente, ma alcuni rischi appaiono già chiaramente.
Una Lega egemone potrebbe infatti essere spinta a porre il tema cruciale della modernizzazione economica e sociale del Nord come "questione settentrionale", ovvero essenzialmente come un problema di recupero delle risorse drenate dallo stato centrale per ridistribuirle al Sud, e come difesa e protezione dalle sfide esterne, con accresciuta diffidenza verso l'Europa. Ma ciò porterebbe ad accentuare la definizione del rapporto Nord-Sud come un gioco a somma zero, nel quale le sorti delle regioni settentrionali sarebbero dipendenti dalla capacità di sottrarsi al Sacco del Nord, per usare il titolo del recente libro di Luca Ricolfi. Siamo sicuri che questa linea aiuterebbe il Nord e tutto il paese? Si possono nutrire seri dubbi per almeno due motivi.
Il primo riguarda i problemi della qualificazione del territorio necessaria per l'innovazione. Un interessante studio, uscito proprio in questi giorni (La crisi italiana nel mondo globale. Economia e società del Nord, curato per Einaudi da Paolo Perulli e Angelo Pichierri) mostra come il cuore produttivo del paese costituisca ormai un sistema integrato con forti interdipendenze dal punto di vista economico che richiederebbe particolare cura in termini di governo del territorio: con scelte coordinate e lungimiranti su grandi questioni d'infrastrutture, di servizi, di politiche per l'innovazione. Si registra invece uno scarto tra organizzazione economica, sempre più interdipendente, e governo del territorio, incapace di uscire da una frammentazione localistica.
Ciò non significa negare che ci sia un problema di assetto più equo e efficace dei meccanismi di redistribuzione tra Nord e Sud. Vuol dire però che ci sono responsabilità primarie di chi governa al Nord per rafforzare lo sviluppo di queste regioni. Sarebbe un grave errore se chi ha responsabilità di governo in queste aree non se ne facesse carico, scaricando di fatto tutti i problemi sul "Sud ladrone", e esasperando come "capro espiatorio" l'impatto dell'immigrazione per la sicurezza. Come notano Piero Bassetti e Arnaldo Bagnasco nello studio citato, occorrerebbe invece sforzarsi di porre il problema del Nord come grande regione europea piuttosto che con la formula ambigua della questione settentrionale.
Ma c'è un secondo motivo per il quale una linea di questo tipo non aiuterebbe il Nord e neanche il Sud. Il rafforzamento elettorale del Pdl al Sud, in un quadro che radicalizzasse la contrapposizione tra questione settentrionale e meridionale, porterebbe inevitabilmente il Pdl del Sud a risentire più fortemente di quel rivendicazionismo tradizionale verso il governo delle classi dirigenti meridionali che tanti danni ha fatto allo stesso Mezzogiorno. E le avvisaglie si sono già viste con un certo modo d'interpretare il "partito del Sud" che peserebbe certo sulla partita del federalismo fiscale.
In questo caso - in modo speculare rispetto alla Lega - sono le sorti del Mezzogiorno che vengono fatte dipendere, se non più dallo sfruttamento del Nord, certo da un insufficiente aiuto dello stato centrale. Da qui una spinta a chiedere nuove risorse a prescindere dalla migliore qualità del governo del territorio per il quale dovrebbero essere impiegate. Anche in questo caso, dunque, il gioco a somma zero tra Nord e Sud che rischia di rafforzarsi dopo queste elezioni va contro un'acquisizione della ricerca che si è ormai fatta strada - e ha anche trovato un'autorevole conferma di recente in un ampio studio della Banca d'Italia: i problemi del Sud non dipendono da aiuti insufficienti, ma dalla qualità del governo del territorio messo in essere dalle classi politiche locali, che ha prodotto effetti negativi sullo sviluppo per il tramite di assistenzialismo, clientelismo, frammentazione e localismi.
  CONTINUA ...»

2 Aprile 2010
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