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STORIE
Iscriversi a un Albo e rischiare la vita

di Maria Carla De Cesari

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2 Marzo 2010

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Per alcuni è una questione anche d'ideali. Poter contribuire a ridare futuro a un'impresa, salvaguardare dei posti di lavoro. Ed essere una testimonianza di legalità.
«Mi chiede se ho mai pensato di andarmene? Sono figlio di un magistrato, impegnato in Corte d'assise. Da mio padre ho imparato a capire il peso di condannare un uomo all'ergastolo. Andarmene no. I professionisti – dice Alessandro De Donato, presidente dell'Ordine dei notai di Santa Maria Capua Vetere e del Cup (il comitato delle professioni) di Caserta – hanno il dovere di fare barriera all'illegalità. È evidente, occorre essere lineari e irreprensibili. Ma da queste parti si dice "il paese è del paesano". Distinguo chi devo salutare con un sorriso e la persona con cui mi posso fermare a parlare. Occorre non concedere alcunché», per evitare di cadere nella trappola del debito.
De Donato sottolinea la responsabilità dei professionisti. «Qui – continua – la vischiosità di alcuni tecnici è evidente e i magistrati incontrano molti ostacoli a disporre l'abbattimento di edifici abusivi. Eppure, anche un geometra può rappresentare la legge. Occorre recuperare il senso del proprio ruolo sociale».
Professionisti responsabili si diceva. Una qualità che appare collegata alla preparazione, culturale e deontologica. «Si studia sempre meno e si hanno lacune anche nella deontologia. Non si sa bene come si tratta un cliente, come ci si rapporta con un collega – sostiene D'Ascola – c'è il rischio che l'attività sia fondata su presupposti sbagliati. Non c'è più una cultura unitaria. C'è il rischio che alcuni colleghi accettino comportamenti non leciti richiesti dai clienti».
C'è dunque un tarlo che mina l'autorevolezza delle professioni e mette in pericolo quanti non accettano di sottostare a pretese fuori norma.
L'origine di tutto questo è nel mancato governo delle trasformazioni delle professioni, che in questi anni hanno visto moltiplicare gli iscritti. Gli avvocati sono arrivati a registrare circa 220mila abilitati. I commercialisti sono circa 110mila. Si è passati dalla professione-aristocrazia alla professione di massa, senza che i meccanismi di controllo venissero ritarati.
La concorrenza al ribasso fa sì – ammette Ettore Randazzo, penalista di Siracusa ed ex presidente dell'Unione delle camere penali – che qualche collega accetti di svolgere attività che vanno al di là della difesa, che si qualificano come favoreggiamento.
«Da anni – annota Randazzo – chiediamo la riforma della professione e se non si può arrivare al numero chiuso almeno si razionalizzi il meccanismo di accesso. Ma a chi interessa come vive l'avvocato? Non ai politici».
E così si piangono i morti. «A Catania – racconta Randazzo – 15 anni fa è stato assassinato l'avvocato Serafino Famà. In quell'occasione, per la prima volta l'Ordine e la Camera penale di Catania si sono costituite parte civile nel processo contro i killer. Il problema è che la criminalità abbatte e vuole intimidire quanti non accettano di adeguare i propri comportamenti allo stile malavitoso. Siamo in troppi, l'Ordine non può star dietro a verificare il rispetto della deontologia. Se un difensore d'ufficio lavora male e non esamina gli atti chi se ne può accorgere? In questo modo, però, viene a cadere un po' del diritto di tutti a un processo equo».

I PRECEDENTI

L'assassinio di Costanzo Iorio a Foggia
- Il 6 giugno 2008, a Foggia, è stato ucciso Costanzo Iorio (nella foto), curatore fallimentare di 68 anni. Antonio Stridi, 65 anni, è accusato dell'omicidio. Aveva chiesto una proroga di qualche mese per lo sfratto: quando il curatore fallimentare gliel'ha negato, Stridi ha sparato.

Passarelli ucciso a Castrovillari
- Liberato Passarelli (nella foto), 60 anni, presidente dell'ordine dei dottori commercialisti di Castrovillari, è stato ucciso il 12 dicembre 2009 da un imprenditore cui aveva comunicato la decisione di non rinnovare il contratto d'affitto d'azienda che insisteva su beni caduti in fallimento.

Medici e avvocati sotto tiro
- Nicolò Pandolfo, 51 anni, primario del reparto di Neurochirurgia dell'ospedale di Reggio Calabria (nella foto), fu ucciso il 20 marzo 1993. Venne ammazzato perché non strappò alla morte Paola, la bimba di 10 anni malata di tumore figlia del boss Cosimo Cordì, arrestato poche ore dopo l'assassinio.
- A Catania, il 10 novembre 1995, venne assassinato Serafino Famà, 57 anni, che era stato il legale di Pulvirenti detto "U malpassotu". Mentre usciva dallo studio in compagnia di un collega, due giovanissimo killer a volto scoperto lo freddarono con sette colpi.

2 Marzo 2010
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