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Appello finale per tagliare costi e tempi

di Giovanni Negri

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2 Novembre 2009

Se non ora quando? Per la conciliazione è arrivato il momento della verità. Se non decollerà dopo l'approvazione delle misure studiate dal governo per il rilancio, allora sarà molto difficile pensare che forme di giustizia alternativa possano mai attecchire nel nostro paese. Una scommessa dunque. Dall'esito incerto. Perché a fronte degli oltre 5 milioni di cause arretrate, le conciliazioni gestite dalle camere di commercio sono state poco più di 20mila. In crescita certo, e anche sensibile, ma i numeri sono a modo loro spietati. Tanto da fare risaltare ancora di più la forte attenzione che la dottrina ha dedicato alla materia, a fronte degli scarsi risultati reali.
Certo alla conciliazione sarebbe meglio pensare non solo quale strumento per tagliare il contenzioso, ma il vero debito pubblico della giustizia, il peso delle liti pendenti, non può essere ignorato a cuor leggero. Del resto, l'impatto atteso non sarà proprio irrilevante, visto che sulla base delle nuove regole circa un milione di cause all'anno saranno soggette al tentativo obbligatorio di conciliazione. E allora la valutazione non può che essere condotta in termini di efficienza e di corrispondenza degli strumenti alle aspettative.
Il progetto del ministero della Giustizia, nelle condizioni date, che non sono certo favorevoli a un'espansione della spesa pubblica, ha il pregio di un approccio realistico e coerente con la più ampia riforma del processo civile in vigore da pochi mesi. In quest'ultima sono previste sia inedite forme processuali abbreviate sia sanzioni per le parti che puntano solo a tirare in lungo con i processi, nel decreto sulla conciliazione Alfano gioca la carta di un mix di incentivi e penalizzazioni.
Con quanta efficacia è difficile dirlo. Ma almeno la sensazione è di avere a che fare (finalmente) con un progetto serio. Avere posto il tentativo di mediazione come condizione di procedibilità, malgrado l'esito insoddisfacente della conciliazione nel rito del lavoro, in materie chiave per il peso che hanno sul contenzioso come il condominio, i contratti bancari e finanziari, la colpa medica, obbligherà parti, di solito assai riottose a cercare un accordo, almeno a sedersi attorno a un tavolo per individuare soluzioni possibili. Ruolo chiave sarà allora quello del mediatore. Che dovrà essere preparato e credibile. In questo senso l'istituzione di un registro e la formazione di un albo avranno un significato solo se accompagnate al massimo rigore da parte del ministero nella valutazione dei requisiti degli organismi di conciliazione.
Determinante sarà, soprattutto per alcune controversie, la responsabilità degli ordini professionali, cui il decreto affida la possibilità di costituire organismi di conciliazione nelle materie di loro competenza. Tra gli ordini poi, inutile nasconderselo, la "linea del fuoco" sarà quella degli avvocati. Che dovranno smentire qualche luogo comune. Nella fase di redazione della delega e anche in quella del decreto si è affacciata più volte l'eventualità di assegnare rilevanza deontologica alla condotta del legale che non segnala al cliente la possibilità di risolvere stragiudizialmente la propria controversia. Eventualità poi sempre tolta di mezzo, ma che avrebbe costituito un buon banco di prova dell'effettiva volontà di procedere, senza troppi riguardi, da parte del governo.
Anche perché, su altri versanti, il decreto ha il pregio di scalfire qualche tabù, come quello del principio della soccombenza. L'avere previsto la possibilità di condannare al pagamento delle spese anche chi vince in giudizio, ma ha precedentemente rifiutato un accordo conciliativo, potrebbe rappresentare un buon incentivo all'intesa. Come pure il credito d'imposta, fino a 500 euro, a copertura dell'indennità pagata dalle parti al mediatore. Di certo, però, sarà tutto inutile, senza il salto più grosso, quello culturale, che comporta la rinuncia delle parti a ottenere un'incerta soddisfazione futura a fronte di un sicuro, ma ridotto, beneficio immediato. A considerare insomma il fattore tempo, e le aziende a questo dovrebbero essere sensibili, un elemento serio di costo per chi ha la ventura di essere coinvolto in un procedimento civile.

2 Novembre 2009
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