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LE REGOLE DELLA FINANZA / L'indebitamento a breve è il vero sorvegliato speciale

di Kenneth Rogoff *

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20 Agosto 2009

Nel dubbio, salviamo» è il mantra che ripetono i governi a 11 mesi dal settembre 2008, quando fallì la Lehman Brothers. Con l'economia globale che cerca a fatica di uscire dalla recessione e gli investitori che guardano con l'acquolina in bocca l'apparente ritorno alla redditività delle banche rimaste in piedi, qualcuno comincia a chiedersi: «Era proprio necessario patire tutte queste sofferenze?».
Troppi politici, investitori ed economisti sono arrivati alla conclusione che le autorità americane avrebbero potuto architettare un'uscita indolore dall'economia delle bolle se solo avessero salvato la Lehman. Troppi ormai credono che qualunque iniziativa che vada in direzione di una maggiore regolamentazione del mondo della finanza andrebbe drasticamente circoscritta, visto che è stato il governo a venir meno al proprio dovere. Soffocare l'innovazione finanziaria servirà solo a rallentare la crescita con scarsi benefici dal punto di vista della prevenzione delle crisi future; è compito delle banche centrali impedire gli assalti agli sportelli reagendo con decisione di fronte a potenziali crisi di sistema; le autorità non dovrebbero essere ossessionate dal problema dell'azzardo morale e dovrebbero rinunciare a gestire in modo troppo particolareggiato l'innovativo settore finanziario.
Questa diagnosi relativamente ottimistica è allettante, ma pericolosa. Ci sono tre problemi di fondo riguardo a questa teoria secondo cui i costi di una maggiore regolamentazione delle banche sono maggiori dei benefici e tutto il problema è nato dal mancato salvataggio della Lehman.
Innanzitutto, l'economia americana non è che filasse a meraviglia già prima del settembre 2008. L'Ufficio nazionale di ricerca economica fa partire la recessione negli Stati Uniti dalla fine del 2007. I mercati finanziari avevano cominciato a manifestare segni di sofferenza per i mutui subprime già nell'estate di quell'anno. La colossale bolla immobiliare aveva cominciato a sgonfiarsi sei mesi prima. (...) Come sosteniamo io e Carmen Reinhart nel nostro libro di prossima pubblicazione "This Time Is Different. Eight Centuries of Financial Folly" (Questa volta è diverso. Otto secoli di follia finanziaria), in base a quasi tutti i parametri quantitativi l'economia americana stava marciando verso una profonda crisi finanziaria già molti anni prima che arrivasse lo shock dei mutui subprime.
In secondo luogo, la teoria che imbrigliare il settore finanziario può mettere a rischio la crescita futura necessita di alcune puntualizzazioni. Sicuramente un settore finanziario più forte è fondamentale per ottenere più crescita e più stabilità. Ma non sappiamo bene quali attività del settore finanziario siano più utili. In generale, i legami tra crescita e sviluppo del settore finanziario sono complessi. L'"innovazione" nel settore dei mutui negli Stati Uniti in teoria era utile, perché abbassava i tassi di interesse per i compratori di case. Ma, come la crisi ha rivelato, l'innovazione era anche un meccanismo per ottenere sussidi pubblici impliciti.
In terzo luogo, è pericoloso indicare l'incipiente ripresa della redditività del settore finanziario come una chiara dimostrazione di un corrispondente beneficio per l'economia. C'è un elemento di arbitraggio, perché le banche prendono a prestito a tassi bassi, con la garanzia implicita di un salvataggio pubblico nel caso di una crisi. La gente crede davvero, come sostengono alcuni, che l'azzardo morale sia un non-problema? Perché dev'essere consentito a grandi società finanziarie, fondamentali per la tenuta del sistema, di indebitarsi pesantemente prendendo soldi in prestito a breve termine? Dove sarebbe il problema se i regolatori imponessero requisiti più stringenti sul fabbisogno di capitale per scoraggiare attività di arbitraggio che espongono le banche too-big-to-fail a un rischio sistemico eccessivo?
Il fatto è che le banche, specialmente quelle grandi e fondamentali per la tenuta del sistema, in questo momento possono ottenere liquidità a tassi di interesse prossimi allo zero e impegnarsi in rischiose attività di arbitraggio, sapendo di avere alle spalle il portafoglio invisibile del contribuente. In sostanza, se da un lato le autorità dicono che innalzeranno i requisiti sul fabbisogno di capitale, dall'altro per il momento chiudono gli occhi mentre le banche giocano d'azzardo protette dall'ombrello delle garanzie pubbliche. La teoria e la storia ci dicono che qualunque economia con un eccesso di indebitamento a breve termine - sia che riguardi lo Stato, sia che riguardi le banche, sia che riguardi le aziende, sia che riguardi i consumatori - è altamente esposta a crisi di fiducia. Gli incidenti in agguato di solito avvengono, ma quando? Né l'analisi statistica della storia né la teoria economica ci offrono parametri precisi sulla tempistica del crollo, neanche con un'approssimazione di un paio d'anni.
Sicuramente l'economia americana e quella mondiale erano già fortemente sotto pressione nel momento del crollo della Lehman, ma migliori accorgimenti tattici da parte della Federal Reserve e del Tesoro, in particolare se avessero provveduto a puntellare il portafoglio derivati della Lehman, avrebbero potuto evitare di far divampare il panico. Col senno di poi è facile dire che le autorità avrebbero dovuto agire mesi prima, costringendo le banche a incrementare il capitale netto. Il crollo, nel marzo del 2008, della quinta maggiore banca d'affari, la Bear Stearns, avrebbe dovuto dimostrare che bisognava agire con urgenza. I funzionari della Fed e quelli del Tesoro sostengono che prima della Lehman era politicamente impossibile prendere misure forti. Ci voleva il sangue nelle strade per convincere il Congresso. (...)
  CONTINUA ...»

20 Agosto 2009
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