Se fosse possibile rappresentare i cinque anni di pontificato di Joseph Ratzinger con un grafico borsistico, qualsiasi analista lo definirebbe "estremamente volatile". All'annunciatore della Chiesa universale è succeduto il grande teologo, che con abile gradualità ha cambiato volto alla Curia e riordinato alcuni cardini del messaggio pastorale. Ma l'andamemento molto erratico del pontificato è un dato che emerge con forza, e gli incidenti hanno prevalso sui molti fatti positivi che lasciano meno traccia. E allora dal caso Ratisbona alle proteste per la reintroduzione della cosiddetta messa in latino,dall'incidente dei lefebvriani alla condanna del preservativo fino al caso planetario scaturito dai casi di pedofilia (e la loro gestione) è un continuo affanno della Chiesa a rincorrere i fatti. Ma allora la domanda, già emersa con forza più volte, torna a galla: è Benedetto XVI il grande Papa-teologo senza una "governance" che gli permetta di guidare con mano sicura la Chiesa?
«È un tema innegabile, questo del governo della Chiesa – spiega Alberto Melloni, professore di Storia a Bologna e uno dei massimi studiosi del Concilio –: tutto nasce dal Conclave che anziché scegliere di risolvere i gravi problemi ha optato per un "Re taumaturgo", ma i problemi sono rimasti». Melloni ricorda infatti che Ratzinger era l'unico cardinale presente nel conclave del 2005 che non era stato elevato alla porpora da Karol Wojtyla: «Una ragione ci sarà».
Una scelta quindi che scartava rispetto al lungo pontificato appena finito, ma che lasciava scoperti i problemi: «Tutto quello che accade oggi è anche effetto di scelte fatte in anni precedenti. Oggi la mancanza di governo si vede nella difficoltà a trovare il punto di fuga dei mali identificati dal pontificato, in testa a tutti relativismo e secolarizzazione, e si finisce per incolpare i media, che invece fanno anche opera di trasparenza».
Di certo le crisi hanno «ferito la Chiesa », come dice il Papa («ma non mi sento solo», ha detto ieri alla Curia al gran completo) e hanno riacceso e soprattutto messo sotto i riflettori, cosa mai accaduta, l'attivismo delle correnti interne e gli intrighi vaticani. «Il governo c'è, eccome », ribatte il direttore dell'Osservatore Romano, Gian Maria Vian, assai vicino al segretario di stato, cardinale Tarcisio Bertone. «Certo, non è un esecutivo muscolare, quella della Curia è una "gentle governance" ma molto determinata, la cui agenda di sicuro non è dettata dai media ». Eppure gli incidenti accadono, e non può neppure vantare per esempio di aver riformato la Curia, molto pletorica nella sue strutture: «È vero, la semplificazione non c'è stata, ma Benedetto XVI punta a una riforma molto più profonda, non superficiale».
E qui c'è la conferma che le faccende curiali sono demandate in pieno alla struttura, completamente cambiata dal 2005 (restano solo due cardinali della gestione wojtyliana, Giovan Battista Re e Walter Kasper, prossimi all'avvicendamento) ma l'eredità del precedente pontificato è ancora uno degli elementi dominanti, anche nei dossier più difficili. Insomma, sembra che incomba un passato che non passa, e si viva dentro un'enorme transizione che non si riesce a superare, con un Papa che deve fare i conti coni residui del "blocco d'ordine"conservatore che lo ha eletto - e che spinge ancora verso tendenze anticonciliari- e le spinte innovatrici che arrivano soprattutto dalle Chiese giovani del Sud del mondo, le sole in crescita per preti e fedeli.
La dottrina. Benedetto XVI firma l'enciclica «Deus caritas est», il 25 gennaio 2006