Ve lo ricordate Toto Cutugno? Sì dai, quello che cantava «Lasciatemi cantare, perché ne sono fiero. Sono un italiano, un italiano vero». Bene, in questa saga nazional-popolare che è diventata la scoperta dell'italianità e, di volta in volta, delle piccole patrie, dei gusti della nonna, della casa del borgo natio e della povera gente amata da Dio, non poteva mancare la musica.
Infatti il sindaco di Milano, Letizia Moratti, da poco diventata responsabile delle politiche sociali del Pdl, come sua prima iniziativa politica ha deciso di elaborare una proposta con la quale intende - riprendendo le sue parole - valorizzare la musica italiana e i suoi artisti, con una particolare attenzione ai talenti emergenti, seguendo il modello già presente in Francia. E di che si tratta? Semplice, una bella legge che imponga alle radio di trasmettere musica italiana per una certa percentuale (in Francia alle ugole transalpine è riservato il 50% dello spazio), di cui una fetta, magari del 20-25%, riservata ai giovani.
Si tratta purtroppo di una proposta fatta per il bene dei produttori e non dei consumatori. Se questi ultimi gradissero di più la musica del Belpaese, non ci sarebbe bisogno di una norma per imporla: emanandola si restringerebbe una libertà fondamentale, quella di assecondare le proprie preferenze culturali. Si potrebbe dire che il governo sa meglio della popolazione cosa è bene ascoltare, ma questa è una proposizione talmente azzardata che nessuno oserebbe sostenerla seriamente.
L'economia nel suo complesso ne trarrebbe benefici? Difficile dirlo: nonostante i grandi sforzi contro la pirateria, anche in Francia il fatturato dell'industria musicale è calato in sei anni del 55%, da 1,3 miliardi di euro a 600 milioni.
Si può forse dire che c'è un struttura monopolistica del mercato che impedisce una sana offerta? Nemmeno per sogno: già ora ci sono radio interamente dedicate alla musica italiana, il che vuol dire che quando un'opportunità si apre, c'è un imprenditore che la coglie. Se però il 50% di canzoni italiane fosse eccessivo e sgradito al pubblico, l'ascolto delle radio diminuirebbe, con un danno all'economia in quanto anche gli investimenti pubblicitari ne risentirebbero. Si consumerebbe meno un servizio (le trasmissioni radio) preferito del pubblico che verrebbe sostituito con un second best, generando un'allocazione inefficiente delle risorse.
Quanto alla scoperta dei talenti nostrani, tutte le case discografiche, dalle major ai produttori indipendenti, ogni anno svolgono migliaia di provini (ormai sempre più sofisticati, si guarda direttamente su MySpace l'esibizione) ma solo poche decine sono gli eletti che riescono a pubblicare un cd. Esiste insomma un complesso di imprese piccole e grandi che hanno l'esperienza e l'interesse a selezionare chi ha possibilità di essere ascoltato. Tutto il resto è una sovvenzione indiretta a chi non ce la farebbe e distogliendolo da altre attività più produttive.
Naturalmente non passerebbe molto tempo che si reclamerebbe una quota di stornelli lumbard per le radio lombarde o venexiani per le venete. Senza contare che sarebbe difficile classificare Laura Pasini che si esibisce in inglese o canzoni cantate da un americano su musica di un italiano e parole di uno spagnolo.
Capiterà mai che commenteremo una proposta che non prevede restrizioni alla libertà, sovvenzioni ai produttori, danni ai consumatori e all'economia? È Natale, speriamo.
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