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GENDER GAP / Parità non fa rima con terzietà

di Fiorella Kostoris

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20 febbraio 2010

Oggi entra in vigore il decreto legislativo di recepimento dell'ultima direttiva europea sulla parità tra uomini e donne in materia di occupazione. Su questo tema, la Commissione europea aveva aperto contro l'Italia una procedura di infrazione, reiterata ancora quest'anno, criticando il nostro paese sulla «questione dell'indipendenza dell'organismo incaricato di promuovere, analizzare, sorvegliare e sostenere la parità di trattamento».

Conviene in proposito, distinguere tre tipi di indipendenza, di livello via via più elevato: nell'organizzazione dell'attività, nell'autonomia funzionale e di bilancio, nella terzietà rispetto all'esecutivo. Riguardo alla prima forma di indipendenza, ritengo che l'Italia abbia ben recepito i correttivi relativi all'organizzazione delle procedure adottate dagli organismi di parità (Commissione nazionale per le pari opportunità tra uomo e donna, Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità tra lavoratori e lavoratrici, Consigliere/a di parità).

Tale positivo giudizio non può, invece, ripetersi per l'autonomia funzionale e di bilancio di quegli stessi organismi, in primis della Consigliera nazionale di parità. Da un lato, se ne ampliano i compiti, includendovi lo svolgimento di «inchieste indipendenti..., relazioni indipendenti e raccomandazioni in materia di discriminazioni sul lavoro». Dall'altro lato, l'indipendenza nell'espletamento delle funzioni appare più formale che sostanziale: nessuna modifica normativa è intervenuta sul sottostante "limite" - ricordato da una sentenza del Tar del Lazio del 2009 - che la Consigliera nazionale incontra a causa della «necessità di rispettare le attribuzioni» di altri poteri pubblici con medesimi obiettivi, «al fine di evitare divergenze nell'azione rivolta all'adozione di tutte le misure per le pari opportunità nel campo del lavoro».
Quanto all'autonomia di bilancio, sempre quella sentenza del Tar ne evidenzia la mancanza, poiché «l'ufficio della Consigliera di parità riceve dal ministero del Lavoro tutti i supporti personali e materiali per la sua azione, e le risorse finanziarie assegnate per il perseguimento delle sue finalità sono gestite da un dirigente del ministero stesso, il quale nell'assumere la piena responsabilità della spesa effettuata, necessariamente opera un controllo di legittimità».
Infine, per quel che concerne la terzietà degli organismi di parità, essa può dirsi totalmente assente, in quanto la Consigliera è designata e revocata dal ministro del Lavoro di concerto con quello per le Pari opportunità, è da loro rinnovata «per non più di due volte», e a loro riferisce, redigendo rapporti sul proprio operato. Del resto, che essa sia del tutto subordinata all'esecutivo è dimostrato dal fatto che la suddetta sentenza del Tar, proprio su questo presupposto, ha respinto il ricorso presentato dalla Consigliera nominata dal precedente governo e revocata dall'attuale, precisando che la sua posizione non è tale da «assurgere al rango di una Autorità indipendente».

L'insistenza sul requisito di indipendenza degli organismi di parità può sembrare eccessiva rispetto alla lettera della direttiva europea, che difatti la auspica senza imporla. In proposito, va osservato che essa è necessaria non in tutta l'Unione a 27, bensì unicamente dove manchino prassi consolidate nella popolazione e significativi controlli della pubblica opinione, a garanzia del rispetto dell'uguaglianza di genere nel mercato del lavoro. Quando su questi temi la cultura dominante è pervicacemente indifferente o perfino aliena e la vigilanza da parte della società civile è debole o inesistente, la terzietà degli organismi di parità, ancorché necessaria, può divenire addirittura non sufficiente.

Perciò abbiamo recentemente deciso, con un gruppo di uomini e donne, individui e associazioni, di cogliere le opportunità ignorate nel recepimento italiano della direttiva, creando il Comitato pari o dispare, di cui sono presidente. Lo scopo è costituire un'"autorità" volta al conseguimento della parità fra lavoratori e lavoratrici attraverso la trasparenza e il premio al merito, che è presumibilmente egualmente distribuito fra maschi e femmine.

Tale "autorità", fondandosi sui principi della Costituzione e dei Trattati europei, e disponendo soltanto degli strumenti della moral suasion e del rigore analitico, intende monitorare i meccanismi di segregazione e discriminazione di genere vigenti nel nostro mercato, incentivare le buone pratiche basate sulla meritocrazia e perciò capaci di provocare in Italia più equità e insieme più efficienza, maggiore coesione sociale combinata con superiore crescita economica. Ma anche sanzionare nella full disclosure i cattivi comportamenti della maggioranza degli operatori, a cominciare dai nostri governi locali e nazionale, rispetto a cui la terzietà consente assoluta neutralità, nonché vera libertà di critica e di azione.

20 febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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