L'immigrazione non è come a'nuttata. Non passa. Una verità confermata dagli ultimi dati Eurostat dell'11 febbraio scorso sulle rimesse monetarie che i lavoratori stranieri hanno inviato dall'Europa verso i paesi di origine. Nel 2008, nonostante la crisi economica deflagrata nella seconda metà dell'anno, sono infatti cresciute, anche se di poco, rispetto al 2007 passando da 31,3 a 31,8 miliardi di euro.
Cifre importanti in valore assoluto, ma che assumono ancor maggiore significato se si considera che nel giro di appena quattro anni sono quasi raddoppiate rispetto ai 19,4 miliardi del 2004. Che la loro componente extra-europea è di gran lunga quella maggioritaria e con la più forte crescita (nel 2008 rispetto al 2004 le rimesse infracomunitarie sono passate da 7,9 a 9,3 miliardi, mentre quelle dei lavoratori non comunitari sono salite, nello stesso periodo, da 11,5 a 22,5 miliardi). Che nella classifica per paesi 2008, le rimesse dall'Italia occupano, come già nel 2007, il secondo posto dietro la Spagna e distanziano di molte lunghezze quelle effettuate da paesi d'immigrazione storica come la Francia e la Germania. Soprattutto per quanto riguarda i flussi monetari diretti al di là dei confini della Ue. Che dire? Almeno due cose.
La prima riguarda il nostro paese. Il sovrappiù di difficoltà che l'Italia evidenzia nel governo dell'immigrazione deriva, oltre che dalle sue storiche e ben note inadeguatezze gestionali e amministrative, dall'impressionante rapidità e dai ritmi assai accelerati con cui questo fenomeno ha preso da noi prima piede e poi forma. Un processo che altrove ha avuto i tempi della storia da noi è invece avvenuto in meno di venti anni. Con il risultato di farci scalare d'un balzo, anche se impreparati, le prime posizioni della hit parade mondiale delle nazioni d'immigrazione.
La seconda riguarda, invece, il modo d'essere e di funzionare dell'immigrazione. Cominciamo col dire che le rimesse non vengono effettuate dagli ultimi arrivati, ma dallo stock di quelli già da tempo presenti. Se il ciclo negativo dell'economia rallenta l'arrivo dei primi, il vero perno restano i secondi. Tenuto conto anche del fatto che, essendo le rimesse una frazione relativamente piccola dei redditi degli immigrati, la loro gestione presenta caratteristiche di flessibilità in grado di fronteggiare anche i momenti meno positivi del ciclo economico.
Ma soprattutto, altro fattore che dà continuità alle rimesse, nonostante abbiano preso piede in Europa come in altre parti del mondo politiche di forte restrizione agli ingressi, l'immigrazione già presente si è andata nel tempo stabilizzando, allungando di molto gli anni medi di permanenza all'estero. Con l'aggiunta che il timore di un possibile "tutti a casa", rafforzato proprio dalla crisi, ha spinto molti a inviare verso la madrepatria quanto più denaro possibile.
Ultimo e più inquietante tassello di questo quadro è rappresentato dall'imponente area del lavoro nero e irregolare, soprattutto nei servizi, che cresce proprio nei momenti più acuti di crisi. E per il quale non c'è nulla di meglio e di più appetibile della disponibilità quasi assoluta di coloro, come gli immigrati, che pur di guadagnare rinunciano, più facilmente dei nazionali, alle coperture previdenziali e assicurative e a qualche ora di pausa in più.