La crisi finanziaria ha imposto, soprattutto dal G20 di Londra della scorsa primavera, tra le priorità dell'agenda del governo quella di provvedere a un nuovo assetto del capitalismo fondato su regole più chiare e controlli più rigidi. La riforma della revisione contabile che il governo sta per varare, recependo la direttiva Ue 43 del 2006, rappresenta un tassello cruciale nel nuovo mosaico degli standard internazionali. La riforma punta a potenziare il presidio dei revisori contabili ispirandone l'attività a severi canoni di indipendenza e obiettività, nonché alla riservatezza e alla qualità del servizio reso (con verifiche triennali). Ma tra le pieghe emergono novità destinate ad avere un forte impatto sul mondo professionale e a scardinare tradizioni consolidate. A differenza di quanto avviene oggi la bozza di decreto legislativo – passata ieri al vaglio del preconsiglio – avvia, per esempio, una separazione delle carriere di dottori commercialisti e revisori.
Per essere abilitati a svolgere il controllo legale sui bilanci in futuro non dovrebbe bastare l'iscrizione all'albo dei dottori commercialisti, ma si dovrà completare un percorso ad hoc, svolgendo un tirocinio triennale presso un revisore o una società di auditing e superare uno specifico esame di idoneità. Per accedere al Registro dei revisori, che sembra destinato a passare sotto l'egida del ministero dell'Economia, quindi non dovrebbe essere più sufficiente ottenere l'abilitazione di dottore commercialista e di esperto contabile.
Il campo della revisione dei conti si allargherà poi alle Srl, anche se non nella misura in cui auspicavano i commercialisti. Lo strumento del collegio sindacale dovrà essere obbligatoriamente nominato quando la società è tenuta alla redazione del consolidato e quando ne controlla un'altra obbligata alla revisione. Non sarà invece necessario quando la Srl ha beneficiato di finanziamenti pubblici o quando, per due esercizi consecutivi, l'indebitamento abbia superato di molto il patrimonio netto.