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Scelte strategiche / Sulla banda larga si gioca il futuro del sistema-paese

di Pier Ferdinando Casini

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20 novembre 2009

Da tempo la banda larga è considerata un'infrastruttura prioritaria per la crescita e lo sviluppo di un paese. La rivoluzione digitale ha mutato e sta mutando la società e l'economia. Non può non preoccupare, dunque, in termini di competitività del sistema paese l'arretratezza dei servizi, delle applicazioni, dello sviluppo delle potenzialità legate all'utilizzo della banda larga per imprese, professionisti e famiglie. È assodato che la principale causa del ritardo italiano è da individuarsi nelle difficoltà di far camminare con lo stesso passo mercato liberalizzato e rivoluzione tecnologica, a causa di una cronica carenza infrastrutturale.
Difficoltà amplificate dall'insufficienza del mercato ad assicurare un rapido sviluppo delle dorsali e delle infrastrutture anche nelle aree meno remunerative, superabili soltanto attraverso l'intervento diretto dello stato. Intervento delicato, in quanto chiamato a non scoraggiare gli investimenti privati ma a stimolarli, cercando il punto d'equilibrio tra i benefici per la collettività derivanti dalla disponibilità diffusa dei servizi da un lato, e gli incentivi riconosciuti agli investitori per realizzare le nuove infrastrutture dall'altro.

Non c'è dubbio che i benefici per l'intero sistema paese, oggi, appaiano più robusti e tangibili di quanto non lo sia l'opportunità finanziaria per i singoli privati che si apprestano a investire. Ma è proprio questa disparità a giustificare ed esigere l'intervento pubblico. Nei mesi passati, il governo aveva presentato il cosiddetto "piano Romani", che avrebbe dovuto portare la banda larga al 96% degli italiani entro il 2012, con un investimento di 1,47 miliardi, di cui 800 milioni già stanziati con un decreto. Ma è notizia di questi giorni che quei finanziamenti non sono più disponibili.

Si tratta di un errore strategico per diversi motivi. Gli ultimi dati Istat (2008) danno l'idea dell'emergenza digitale italiana: con il 42% di abitazioni raggiunte da connessione internet e solo il 50% di famiglie in possesso di pc, l'Italia è agli ultimi posti in Europa, con 8 milioni di cittadini che vivono in zone dove la banda larga non è utilizzabile o inadeguata. Alla scarsità di risorse destinate dal governo si aggiunge il rallentamento degli investimenti in nuove infrastrutture dei maggiori gestori, a differenza di quanto succede negli altri paesi: sulla banda larga spendiamo circa il 5% in meno all'anno rispetto alla media mondiale.

Realizzare una rete d'accesso di nuova generazione potrebbe dunque fornire un'occasione d'incontro tra investitori privati e pubblici, operatori, autorità regolamentare e istituzioni per sviluppare virtuose sinergie. Senza trascurare che la crisi mondiale ha aggiunto una motivazione "anticiclica" a puntare sulla nuova rete: se è vero che oltre il 70% dell'investimento sarebbe diretto a opere civili sul territorio, rapidamente cantierabili, l'impatto positivo sui livelli occupazionali sarebbe pressoché immediato.

In questi mesi mi sono sforzato di richiamare il governo alla responsabilità di modernizzare il paese introducendo riforme e innovazioni strutturali non più dilazionabili. Tra queste vi è anche la banda larga. La rinuncia a investire in questo settore e la mancanza di una cabina di regia anche per coordinare gli sforzi delle regioni rappresentano quindi un danno strategico. È troppo chiedere una visione di ampio respiro in tema di sviluppo delle infrastrutture di tlc nell'ambito di un Piano d'intervento nazionale che rappresenti un'opportunità di crescita e uno strumento per recuperare il gap competitivo internazionale? È troppo chiedere un confronto in parlamento su questi temi?
Io credo di no. E credo che dal governo ci si debba attendere un'azione di spinta alla competitività nazionale che sappia rafforzare concorrenza e liberalizzazioni in un quadro regolatore organico e razionale, tenendo separate infrastrutture di rete e servizi.

20 novembre 2009
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