La prima vera grande prova del presidente Obama davanti al mondo non è stata all'altezza delle aspettative. Il viaggio in Asia ha lasciato sul terreno una lunga scia d'insoddisfazione negli Stati Uniti e tra gli analisti internazionali. La ragion di stato, gli interessi commerciali del suo paese, le difficoltà a trattare con la Cina grande creditrice degli Usa - e dunque arbitro dei destini del dollaro - non giustificano in alcun modo la resa del presidente del paese leader globale.
Le domande finte di finti studenti cinesi e la conferenza stampa con Hu Jintao in cui non sono state ammesse domande sono uno dei punti più bassi mai toccati da un leader del paese dei diritti e delle libertà. Gli americani lo giudicano: la popolarità di Obama è scesa ai livelli minimi. Ma anche fuori dai confini Usa ci s'interroga sulla capacità del presidente di affrontare gli altri scottanti dossier sul tappeto: l'Afghanistan, il Medio Oriente, il clima. Il timore è che in un anno i presidente dello «yes we can» possa diventare l'uomo del «no, we can't».