Il nostro paese manca di una o più cabine di regia, che in tutto il mondo costituiscono invece la base del sistema di ricerca e innovazione. Un'anomalia da sanare al più presto, istituendo un'Agenzia che orchestri il sistema definendo prioritàe distribuendo finanziamenti agli scienziati in modo trasparente, meritocraticoe affidabile. Sostenere i giovani scienziati più meritevoli e creare condizioni favorevoli per reclutare cervelli dal nostro paese così come dall'estero è un primo, indispensabile passo per vincere la war of brains. Ed è una priorità imprescindibile per immettere linfa nuova nel nostro sistema di ricerca. Entrando in uno dei nostri laboratorio di ricerca si percepisce subito una profonda differenza rispetto a strutture analoghe presenti oltre i nostri confini: salvo poche eccezioni, i ricercatori sono quasi tutti italiani. Un'identica, immediata impressione emerge da una rapida scorsa agli autori delle pubblicazioni sulle riviste scientifiche internazionali: i lavori che provengono da laboratori Usa o inglesi sono infarciti di nomi dai sapori esotici, che parlano di Cina, Estremo Oriente, Corea, India, mentre gli studi dei laboratori italiani denunciano una netta prevalenza di autori autoctoni. Emblematica anche l'assenza del nostro paese nell'area internazionale delle offerte di lavoro in ambito accademico e di ricerca, che su Nature e Science, due tra le più prestigiose riviste scientifiche, pubblicizzano opportunità di lavoro dai livelli iniziali (corsi di dottorato o PhD e borse post-doc) fino a posizioni dirigenziali (direttori di istituto o di laboratorio), passando attraverso tutta la gamma intermedia: assistant , associate e full professor.
I dati in questo senso parlano chiaro: meno del 2% di studenti stranieri nell'istruzione terziaria italiana contro, ad esempio, circa il 10% della Francia (fonte Ocse 2005); 1,4% di ricercatori stranieri contro l'11% del Belgio e il 15% del Regno Unito (fonte web Era Careers). Difficile non riconoscere, quindi, che il nostro sistema di ricerca soffre di una grave mancanza di internazionalizzazione. Un problema da non sottovalutare, poiché la presenza di scienziati stranieri arricchisce il paese che li ospita e favorisce la crescita scientifica di quello da cui provengono, in una logica di apertura e di scambi che costituiscono l'essenza stessa della ricerca.
La soluzione, quindi, non è concentrarsi sul rientro dei nostri cervelli, o almeno non solo. Di regola tutti coloro che fanno ricerca scientifica di buon livello trascorrono un periodo più o meno lungo all'estero. È un valido modo per stabilire legami stabili e duraturi con altri scienziati, che aiutano gli scambi culturali e il progresso delle conoscenze. Diventa, invece, un problema se il paese non è in grado di attrarre e trattenere scienziati, né dal suo interno né dall'estero.
Per questo è fondamentale, innanzitutto, creare sportelli di finanziamento della ricerca sufficientemente affidabili e meritocratici, che si affianchino alla preziosa attività delle agenzie non pubbliche che coprono settori ben definiti (ad esempio l'Airc per il cancro o Telethon per le malattie genetiche) e finanzino borse individuali riservando un'attenzione particolare ai giovani. Importante, poi, creare per gli studiosi stranieri programmi ad hoc con borse di studio o contratti sufficientemente attrattivi e competitivi. E, certo non ultimo, facilitare la permanenza degli scienziati stranieri, evitando loro di dover fare i conti - oltre che con gli alti costi di alloggi e trasporti - con pratiche burocratiche interminabili e spesso umilianti, ad esempio per ottenere il permesso di soggiorno, che non hanno confronto negli altri paesi. E che scoraggiano i giovani, soprattutto se provengono dall'interno della comunità europea.
Indispensabile diventa la creazione di un percorso preferenziale e separato per la gestione degli ingressi dei cervelli in Italia. Ma anche le università dovranno adeguarsi. Da una ricerca della Fondazione Rodolfo De Benedetti e dell'Università Bocconi sui dottorandi stranieri nelle università italiane emerge che la burocrazia universitaria è citata come fattore di scontento dai PhD stranieri che giungono in Italia. Si tratta di problemi di sistema da risolvere al più presto. L'internazionalizzazione rappresenta un obiettivo importante anche sul versante della formazione, che con la ricerca costituisce un binomio inscindibile: mentre si fa ricerca si fa formazione, e viceversa formarsi alla ricerca significa fare ricerca.
Alberto Mantovani è direttore scientifico dell'Istituto clinico Humanitas e docente all'Università degli Studi di Milano