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LAVORO, SANITÀ, GUERRA / Le rose e le spine di Mr. Obama

di Moisés Naím

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20 settembre 2009

Avrò lavoro? Avrò assistenza medica se mi ammalo? I miei parenti e amici moriranno in Afghanistan? Il futuro della presidenza di Barack Obama dipenderà dalle risposte che gli americani riceveranno a queste tre domande. L'economia, la riforma sanitaria e la guerra in Afghanistan dominano il dibattito nazionale.

L'economia statunitense sta recuperando prima del previsto, ma l'occupazione no. I licenziamenti proseguono e trovare lavoro non è facile. E intanto le grandi banche guadagnano soldi a palate, e i loro dirigenti continuano a concedersi stipendi che sono offensivi già in periodi normali, ma che in periodo di crisi rappresentano una provocazione aggressiva nei confronti di una popolazione che ha visto il denaro delle proprie tasse usato per salvare le banche di questi apprendisti stregoni. Nulla lascia presumere che il crack finanziario abbia intaccato l'avidità, l'arroganza e l'ignoranza di Wall Street. Ma tutto lascia presumere che gli americani siano furiosi con Wall Street, e i politici non possono permettersi il lusso di ignorare questo clamore popolare. Obama e i suoi ministri hanno promesso di imporre dei limiti agli eccessi finanziari e di mettere un tetto ai guadagni delle banche e agli stipendi dei banchieri.

L'opinione pubblica è scettica e resta in attesa delle misure che prenderà il governo. In parte, fortemente aizzata dall'opposizione, è convinta che alla fine tutto questo condurrà a un incremento del ruolo dello stato, possibilità che contemplano con orrore. Che ci sarà una maggiore regolamentazione del settore finanziario è indubbio, ma è indubbio anche che non basterà a impedire nuovi eccessi.

Riformare il sistema sanitario americano nel pieno di una crisi economica è al tempo stesso più facile e più difficile. È più difficile perché ovviamente la crisi impone forti restrizioni economiche. Ma è anche più facile perché la crisi stimola la voglia di cambiamento, anche in quei settori che con questa crisi non hanno nulla a che vedere. Bush usò gli attacchi dell'1 settembre come scusa per invadere l'Iraq. Obama usa la crisi finanziaria per cambiare il sistema sanitario. Ma mentre invadere l'Iraq non era necessario, riformare la sanità è indispensabile. La riforma sanitaria tocca tanti e fortissimi interessi contrapposti, al punto che solo la crisi e Obama sono riusciti a sbloccare il processo di cambiamento.

Quello di cui ha bisogno, quello che si aspetta un giovane da un sistema sanitario è molto diverso da quello che chiede un anziano. Un fattore dell'Iowa si rapporta alla sanità in modo diverso da un commerciante della California. I sindacati degli infermieri esigono cose diverse da quelle che chiedono la lobby farmaceutica o quella delle compagnie di assicurazione. I conflitti tra generazioni, regioni, professioni e industrie sono enormi e paralizzanti. Non c'è da stupirsi che stia risultando tanto difficile trovare un compromesso politico accettabile per tutte le parti. Ma dopo tanti spaventi, passi indietro e fallimenti apparenti, la riforma del sistema sanitario passerà. Il sistema che ne uscirà sarà peggiore di quello che servirebbe e di quello che Obama avrebbe desiderato. Però sarà migliore del sistema attuale.

E poi c'è l'Afghanistan. Il numero dei caduti aumenta per tutti i paesi impegnati nella missione e i talebani risorgono. Il generale a capo della spedizione è stato mandato a casa e il suo successore, Stanley McChrystal, chiede più soldati. Washington ha perso fiducia nel presidente Hamid Karzai, considerato troppo tollerante verso la corruzione e accusato per di più di aver imbrogliato nelle recenti elezioni. Mandare a morire tanti giovani per una democrazia rappresentata da Karzai non è un concetto facile da difendere. Inoltre, una guerra che è cominciata come un'azione terroristica per privare al-Qaeda dei suoi rifugi si è trasformata in una vasta operazione di antiguerriglia. E la nuova dottrina di lotta contro la guerriglia dice che è impossibile vincere se non si dà sicurezza e lavoro alla popolazione civile. In altre parole: bisogna costruire lo stato afghano e propiziare lo sviluppo economico e sociale. Tutto questo in un paese con il 70% di analfabetismo, dove la principale attività economica è l'esportazione di stupefacenti e dove la società è frammentata in mille pezzi.

Quando Obama vinse le elezioni, meno di un anno fa, nessuno avrebbe immaginato che in così poco tempo la situazione dell'economia sarebbe migliorata così tanto e la situazione in Afghanistan sarebbe peggiorata così tanto. Ma così è, e per questo presidente il remoto paese asiatico è diventato una sfida più minacciosa di Wall Street.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

20 settembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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