Con straordinario tempismo, proprio mentre l'oro è in fase prepotentemente rialzista e vicino ai massimi storici, sopra la fatidica quota mille, il Fondo monetario decide di vendere un ottavo delle sue riserve auree. Non una quantità enorme rispetto alle dimensioni del mercato (più o meno i volumi di un giorno di contrattazioni sui futures a New York), ma comunque equivalente al massimo che le banche centrali europee si sono impegnate a cedere nei prossimi cinque anni.
Strana impressione, quella dell'Fmi, uno dei custodi della stabilità finanziaria globale, che sembra voler cavalcare l'onda rialzista, secondo alcuni in parte speculativa. In realtà, l'Fmi ha preso tutte le cautele perché le sue cessioni, graduali e trasparenti, non creino turbolenze alle quotazioni. E soprattutto, più che alla capacità di leggere il mercato, vendendo sui massimi, la fortunata coincidenza dipende dai tempi lunghissimi delle decisioni dell'istituzione di Washington: quando si cominciò a parlare delle vendite di oro, nel gennaio 2007, il prezzo per oncia era sotto i 650 dollari. Per una volta, la lentezza decisionale è servita a impinguare l'incasso.