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CASO SUBPRIME / Minuetto di scuse tra economisti

di Paolo Madron

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21 Agosto 2009

Che cosa succede se uno si accorge che qualcun altro ha chiesto scusa al posto suo? Fa finta di niente. Oppure ironizza per prendere le distanze (non dalle altrui scuse, ma dal suo imbarazzo). Oppure ancora s'interroga seriamente sul perché non l'ha fatto lui quel nobile gesto. Ma chissà se la regina Elisabetta, quando con il buonsenso della casalinga di Voghera ha chiesto ai professori della London School of Economics perché mai non avessero previsto la crisi, loro che di mestiere sono pagati all'uopo, immaginava di scatenare nella categoria un florilegio di commenti, accuse e autoanalisi. Per la verità non proprio tempestive, a dimostrazione della proverbiale aleatorietà del tempo accademico.

La fatidica domanda di Sua Maestà risale infatti allo scorso novembre, quando andò in visita all'augusto istituto. La prima risposta degli economisti della British Academy è del 22 luglio, segno che hanno molto riflettuto prima di prendere carta e penna. Per loro, la più grande recessione che i contemporanei ricordino «è il frutto del fallimento dell'immaginazione collettiva di molti intelletti brillanti a capire il rischio sistemico nel suo insieme». Ora, ed è notizia recente, sempre da Londra ne è arrivata una seconda, che si accredita essere migliore della prima di cui, pur condividendone molti punti, fanno notare «l'inadeguatezza». Si potrebbe dire che i dieci docenti della lettera di Ferragosto si scusano perché nella precedente missiva dei loro 35 colleghi le scuse erano argomentativamente poco scusabili. Le loro, invece, sono inappuntabili. Se è successo tutto l'ambaradan dei subprime e annessi è perché «nei recenti anni l'economia si è trasformata in un ramo della matematica applicata e, come hanno lamentato illustri premi Nobel quali Ronald Coase, Milton Friedman e Wassily Leontief, ha perso ogni contatto col mondo reale». Caspita.

Lungi dal voler entrare nel merito della controversia tra, come si firmano in calce, «i più umili e obbedienti servitori di Sua Maestà», interessa qui la reazione americana. Ovvero quella del paese dove le scuse, l'I apologize, sono di prassi sulla bocca di molti protagonisti della vita pubblica. Eccezion fatta, combinazione, degli economisti e dei banchieri di Wall Street. Sul perché questi ultimi non abbiano sentito il bisogno di battersi il petto esistono opinioni controverse. Per esempio perché la loro avidità si è spinta a tal punto da non vedere i disastri causati, ergo la necessità di doverne fare ammenda. Oppure, la potremmo definire come la teoria del "più pulito ha la rogna", per la convinzione che ci sia sempre qualcuno a doversi scusare prima. Nella fattispecie il governo che latitava, i regolatori che non hanno regolato, la Banca centrale che s'era distratta un momentino. Infine, forse la più convincente: siccome i giudici stanno indagando, meglio evitare che un'excusatio non petita si trasformi in una accusatio manifesta.

Commentando l'iniziativa dei colleghi inglesi, molti economisti d'oltreoceano hanno liquidato la faccenda come una mossetta retorica: «Se tutti gli uomini svelti di mente sono colpevoli, nessuno lo è veramente». Non meno tranchant il giudizio sulla seconda lettera: «La regina Elisabetta non ha chiesto un giudizio sullo stato della categoria, ma perché le sue analisi non abbiano previsto la tempesta che ci è piovuta addosso».

Poi però, siccome tra tanti primati persi è dura cedere anche quello delle scuse, gli americani hanno rivendicato l'origine autoctona del movimento "contrizionista". La prova in un articolo uscito il 13 maggio sul sito online della Wharton Business School della Pennsylvania University, ovvero quando gli accademici inglesi chiamati in causa da Sua Maestà erano ancora lì che si baloccavano sul da farsi. In sintesi, spiega che la colpa degli economisti «è di essersi interamente votati a un modello di comportamento umano che esalta la pura razionalità». Dal che si deduce che per non aver fatto bene il loro mestiere meritano una pena per contrappasso: da oggi in poi, invece che ai numeri, dovranno guardare in primis ai sentimenti degli uomini. Insomma, meno testa e più cuore. Se poi s'innamorano, la prossima crisi sicuramente la vedranno in anticipo.

21 Agosto 2009
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