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DOPO LA TEMPESTA / Vietato «sprecare» questa crisi

di Harold James *

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21 Agosto 2009

Il momento peggiore della crisi finanziaria globale sta per passare, eppure cresce la frustrazione politica perché il tracollo economico sembra offrire un'ultima opportunità per promuovere cambiamenti ambiziosi, e quell'opportunità rischia di andare perduta. Lo scorso anno, il capo di gabinetto del presidente Obama, Rahm Emanuel, ha osservato che una buona crisi non andrebbe mai sprecata. Il disastro è un'opportunità per ragionare sui modi per mutare radicalmente il pianeta, e anche per prevenire future crisi. Tutti si mettono a pensare, ma a volte pensano talmente tanto che escono fuori risposte contraddittorie.

Quello che rende veramente profonda una crisi è l'ampia varietà di diagnosi e rimedi diversi. Le passioni politiche suscitate dalle diverse interpretazioni spesso rendono la crisi apparentemente insolubile. Furono questi conflitti, più che qualche difetto tecnico nella gestione dell'economia, a rendere la grande Depressione degli anni Trenta un evento tanto drammatico e distruttivo. Le risposte a una crisi rientrano in due categorie. La prima punta a una riorganizzazione istituzionale, rimuovendo le inefficienze e gli incentivi perversi e garantendo un funzionamento più spedito ed efficiente dell'economia. Il secondo approccio, più radicale, cerca di intervenire non sull'economia, ma sul modo stesso di condurre l'esistenza da parte delle persone.

Nessuna soluzione istituzionale è assolutamente neutrale quanto a effetti sul reddito relativo, e di solito il dibattito politico ruota proprio intorno al reddito e alla ricchezza relativi. Le operazioni di salvataggio invariabilmente scatenano aspre polemiche perché aiutano qualcuno, ma non altri. Intervenire in soccorso delle case automobilistiche sembra una cosa buona per i dipendenti e i fornitori di queste società. Ma i costi li devono sostenere tutti, comprese quelle aziende che non sono state aiutate - probabilmente perché gestite in modo più efficiente - e che si ritrovano pertanto in una situazione di svantaggio competitivo.

Questi salvataggi sembrano mirati alle grandi aziende con dirigenti incapaci. Le piccole imprese si lamenteranno sempre di non avere il peso organizzativo per convincere i governi a destinare loro fondi pubblici. E i salvataggi delle banche, che comportano un impiego diretto di denaro pubblico per ricapitalizzare istituti di credito sull'orlo del fallimento, sono ancora più costosi e politicamente impopolari. I sostenitori degli stimoli monetari affermano talvolta che questi siano preferibili perché più neutrali negli effetti distributivi e perché i loro benefici ricadono su una platea più vasta. Ma nella realtà gli stimoli monetari sono spesso altrettanto selettivi dei salvataggi.

L'analogia resa celebre dal grande economista monetarista Milton Friedman era che la Banca centrale poteva sempre risolvere i problemi di deflazione scaricando soldi da un elicottero. Ma nel mondo reale, quando l'elicottero scarica denari, sotto non c'è l'intera popolazione. Anzi, è probabile che il pilota dell'elicottero faccia in modo di scaricare il denaro quando sotto ci sono parenti e amici. E anche se il pilota è incorruttibile, la folla a terra darà sempre per scontato che dietro ci sia qualche piano oscuro e fazioso.

È proprio quello che è successo con l'aggressiva iniezione di liquidità, le politiche di espansione quantitativa e la riduzione dei tassi d'interesse da parte delle Banche centrali, per affrontare la crisi in corso. Nella stretta creditizia odierna, come nella grande Depressione, le Banche centrali prestano a tassi d'interesse praticamente prossimi allo zero. I correntisti non guadagnano quasi nulla dai loro depositi. Ma quando le imprese e i consumatori cercano di ottenere soldi in prestito, scoprono che è molto costoso, se non proprio impossibile. Coloro che prestano il denaro sono diffidenti e preoccupati per la solvibilità ed esigono premi di rischio elevati. La conseguenza è che nella maggior parte dei paesi il credito continua a calare.

In pratica, solo le banche hanno accesso al credito a buon mercato, per ricostituire il loro patrimonio prendendo in prestito a costi bassi e prestando a costi alti. Ecco perché d'improvviso, inaspettatamente, le banche sembrano diventate superredditizie. Ma il contrasto fra la redditività della banca e le sventure di tutti gli altri indirizza il furore politico sulle Banche centrali, che devono spiegare perché sotto l'elicottero che scarica i soldi ci sono solo i loro "amici", le banche. La frustrazione per le difficoltà di provare a offrire soluzioni belle e pronte conduce a tentativi di trovare soluzioni ancora più radicali. C'è chi cerca di intervenire sulle inclinazioni di fondo dell'essere umano e di modificare il comportamento per migliorare le persone. È in tempi di crisi che fioriscono le teorie utopistiche, che spesso rivendicano basi scientifiche, sui metodi per garantire la felicità umana.

Ad esempio, già ben prima del tracollo finanziario, gli economisti sperimentali provavano, insieme agli psicologi, a misurare le diverse propensioni all'avidità. Alcuni dati suggeriscono l'esistenza di un collegamento tra il livello di dopamine, la dipendenza e il comportamento avido. Partendo dal fatto che una diagnosi diffusa dei problemi che si sono creati nei servizi finanziari ne attribuisce la colpa all'avidità umana, un istituto di ricerca tedesco ha suggerito che le persone con tendenza genetica a livelli alti di dopamine dovrebbero essere escluse dalle posizioni di comando nelle società finanziarie.

  CONTINUA ...»

21 Agosto 2009
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