In tutte le staffette è il passaggio del testimone il momento più delicato. E ieri Luca Cordero di Montezemolo ha lasciato la presidenza della Fiat a John Elkann. La carica che fu di Gianni Agnelli torna a suo nipote, un successo per il capitalismo familiare, vivo e non solo in Italia.

Missione compiuta, o – per dirla con un'espressione dello stesso Montezemolo – «traghettamento completato». La Fiat oggi guarda all'orizzonte-mondo con legittimo orgoglio: per ogni stabilimento in Italia ce ne sono due oltreconfine sparsi in tutto il globo; su 10 occupati solo 4 sono italiani (e forse certi campanili prima o poi dovranno farsene una ragione).

Sei anni e mezzo fa la famiglia Agnelli vide la Fiat nella massima tempesta, il gruppo doveva gestire un complesso divorzio dal colosso Gm e dalle banche che, con il prestito convertendo da 3 miliardi avrebbero potuto sfilare l'azienda ai suoi tradizionali azionisti. Allora la Fiat perdeva 1,5 miliardi a livello consolidato; la cura Montezemolo-Marchionne dopo tre anni aveva già riportato l'azienda all'utile di 2 miliardi e a mezzo milione di auto vendute in più (ora la crisi finanziaria mondiale ha ridotto quei margini e il gruppo ha una perdita consolidata netta di 800 milioni).

Montezemolo esclude un futuro in politica, lascia correre i gossip e sembra preferire i think tank al parlamento. Per ora resterà nell'industria, Ferrari su tutto.
Sergio Marchionne, l'uomo che dorme sugli aerei, è un manager globetrotter pluricelebrato – da Fausto Bertinotti all'Economist – che ora prende in carico in modo ancora più stringente le sorti dell'azienda che ha portato alla conquista di uno dei giganti americani con tanto di ringraziamenti formali di Barack Obama.

La sua sfida sarà, ancora di più, portare il nuovo "made in Italy globale" dell'auto nei mercati promettenti di India, Cina e Russia (e di consolidare il già ricchissimo Brasile).
Ma è l'ascesa di John Elkann – cui toccò, Umberto morente, il compito di chiedere a Marchionne se accettava la carica di amministratore delegato – quella che più disegna la nuova puntata della prima dinasty italiana. Sulla tolda sale il nipote di quel nonno Gianni, "ultimo re d'Italia", che lo scelse come successore già quando non aveva nemmeno dato il primo esame al Politecnico.

Ora John ha imparato il mestiere (o l'arte) grazie ai consigli dello stesso Montezemolo e dei due guru della casa, Franzo Grande Stevens e Gianluigi Gabetti. Per lui la sfida più importante: guidare un gruppo dai contorni e dai business diversi e probabilmente anche l'accomandita di famiglia.

Piaccia o no è la sfida di sempre: la stessa che la celebre istitutrice inglese miss Parker rivolgeva quotidianamente a Gianni e a Susanna: «Don't forget you are an Agnelli». L'ultima generazione di una casata che ha fatto l'Italia industriale deve ora giocare la sua partita.
Il tempo è arrivato. Quando capitò a suo nonno, l'Italia era nel pieno del miracolo economico. Ora sono tempi assai più difficili e di miracoli ci sarebbe bisogno.
Buona fortuna e good luck.