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SCENARI INATTESI / Signori, non c'è più «Lamerica»

di Guido Bolaffi

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21 Aprile 2010

Novità di rilievo nel mondo dell'immigrazione americana. Per la prima volta dal 1990, anno d'inizio della più massiccia ondata migratoria della storia degli Usa dopo quella, leggendaria, tra metà 800 e primo 900, i clandestini anziché aumentare diminuiscono. E non di poco. Secondo i dati resi del Department of Homeland Security statunitense, a gennaio 2009 il loro numero era calato di oltre 1 milione rispetto allo stesso mese del 2007: da 11,8 milioni a poco più di 10. Una vera emorragia. Confermata anche dal fatto che il numero di undocumented fermati lo scorso anno dall'Immigration sul confine messicano è risultato basso come mai: 550mila contro i 724mila del 2008 e il milione e passa del 2006.

La ragione di tanto cambiamento è nella durezza della crisi economica che con gli ordinativi ha trascinato l'occupazione ben più al di sotto dei livelli di guardia. In particolare nell'edilizia, dove si concentra la massa più consistente della manodopera immigrata soprattutto illegale.

Insomma, per l'immigrazione made in Usa siamo in presenza di cambiamenti strutturali? È ancora troppo presto per dirlo. Di sicuro c'è che l'immigrazione è figlia del mercato, e dunque guidata dalla sua "mano invisibile", ovvero dal complicato sistema di convenienze dei suoi protagonisti. È questo a spiegare la resa simultanea e di massa di tanti clandestini. Pur adusi a tirare la cinghia oltremisura, in molti devono aver valutato che vista la situazione l'impresa non valeva la spesa. Soprattutto in un mercato del lavoro come quello americano, che ha regole di funzionamento per l'immigrazione diverse da quelle europee. Oltreatlantico, infatti, immigrazione clandestina e lavoro nero non sono come in molti paesi del Vecchio continente, e in Italia in particolare, sinonimi. Visto che la forbice tra salari e costo del lavoro è davvero minima, l'immigrato clandestino non ha come suo unico, obbligato destino quello del lavoro nero, ma viene arruolato in assoluta normalità nei ranghi di quello regolare. Basta leggere al riguardo quanto sostiene il direttore del Migration Policy Institute di Washington, Demetrios Papademetriou, in un rapporto scritto per la Commissione di Bruxelles: «Il mercato del lavoro americano è estremamente flessibile, i costi aggiuntivi al salario molto più bassi di quelli europei. Ragion per cui le imprese hanno scarso interesse ad assumere gli immigrati in nero». Dunque clandestini per quanto riguarda il soggiorno, ma non il lavoro.

In America, con una disoccupazione a livelli mai conosciuti dagli anni della Grande depressione, anche gli immigrati clandestini sono dunque finiti, al pari di tanti loro colleghi white workers, con le spalle al muro. Caso risolto, dunque? Non del tutto. Il problema del calo dei clandestini rischia infatti d'innescarne un altro. Quello scottante e spinosissimo della riforma dell'immigrazione promessa da Obama alle comunità immigrate nel corso della campagna presidenziale. Un impegno che decine di migliaia di dimostranti hanno chiesto di onorare con un'imponente manifestazione svoltasi qualche settimana fa a poche centinaia di metri dalla Casa Bianca. «Se non ora quando?», gridavano in molti. Incitando il presidente a giocare proprio la carta dell'imprevisto ma favorevole calo dei clandestini per accelerare la messa all'ordine del giorno della loro questione.

21 Aprile 2010
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