Il ruolo politico che i social network stanno assumendo è diventato chiaro nei giorni successivi al voto in Iran del giugno 2009. Sono stati i feed di Twitter a raccontare cosa stava avvenendo a Teheran, al punto che i media tradizionali non hanno potuto fare a meno di usarli come fonte. Le proteste sui presunti brogli delle elezioni in Iran, a colpi di 140 caratteri, si sono diffuse senza la censura dei mezzi di propaganda degli ayatollah. Nell'emergenza Twitter ha dimostrato di essere il mezzo di comunicazione più affidabile e tempestivo per dare voce ai cittadini iraniani.
L'epicentro della “Twitter revolution” successivamente si è rivelato essere, contrariamente a quello che poteva emergere a un primo sguardo, non l'Iran ma gli Stati Uniti. Nei mesi successivi al voto, i diplomatici americani hanno iniziato a usare una serie di strumenti che possiamo racchiudere sotto la voce “diplomazia 2.0”. Facciamo un esempio: all'interno del Dipartimento di stato opera una squadra – il Digital Outreach Team – che ha il compito di cercare su blog, forum e social network tutti i post “controversi” in cui si parla degli Stati Uniti, per poi rispondere pubblicamente e cercare così di promuovere quei valori, dialogo e cambiamento, su cui la nuova Amministrazione sta costruendo la sua reputazione a livello globale.
Per alcuni osservatori la “vittoria” della “diplomazia 2.0” è inevitabile. Troppo vecchio, e ormai inadeguato, l'approccio tradizionale. Fuori dai confini nazionali i cuori non si infiammano più per l'immaginario veicolato dall'industria culturale attraverso il cinema e la televisione. Di recente è stato proprio il Congresso a diffondere una nota nella quale si parlava della necessità di trovare un nuovo “posizionamento” nell'era di Internet, per fronteggiare il “rischio di rendere vani tutti gli sforzi fatta della diplomazia pubblica, soprattutto tra i più giovani”, per migliorare l'immagine degli Stati Uniti nel mondo.
Quello però salta all'occhio, e basta fare un giro su Internet per rendersene conto di persona, è che i diplomatici non stanno usando in maniera efficace gli strumenti che il Web 2.0 mette a disposizione, anzi. Quello a cui stiamo assistendo è un semplice processo di trasmissione. Penso a cosa voglio dire e poi lo riporto così com'è su più canali possibili. Ma quanto può essere efficace un comunicato stampa ricopiato su Twitter? L'unica cosa che si ottiene in questo modo è la generazione di una nuova forma di spam, quello geopolitico. Allargando il discorso, questo fenomeno si verifica ogni volta che un'istituzione, tradizionale per definizione, prova a usare i nuovi media. Replica un vecchio modello su un nuovo strumento. Chiunque si occupi di comunicazione - politica, diplomatica o istituzionale – dovrebbe fermarsi un attimo a riconsiderare l'approccio. Che cosa voglio raccontare davvero? Che cosa comunica i valori e le idee di un paese meglio di qualunque altra cosa? La cultura, il pensiero, l'arte. Negli Stati Uniti qualcuno ha iniziato a capirlo, e allora in rete hanno iniziato a essere disponibili i corsi delle più prestigiose università americane. Studenti indiani, cinesi, russi, iraniani possono così conoscere davvero quell'universo di valori che non si può pensare di trasmettere via feed su Twitter.
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