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L'ECONOMIA E LE IDEE / Sogno o illusione: la burocrazia aiuta l'impresa

di Gianfranco Fabi

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21 gennaio 2010

I rapporti tra le imprese e la pubblica amministrazione non sono mai stati facili. Anzi nella realtà italiana proprio quella che potremmo chiamare semplicemente burocrazia costituisce uno degli ostacoli maggiori al passaggio dall'idea imprenditoriale all'inizio dell'attività di un'impresa. Lo sottolinea l'annuale indice sulla libertà economica (si veda a pagina 4) così come un'indagine della Banca mondiale aveva messo in luce come in Italia per aprire un'attività, nonostante gli sportelli unici, sia necessario portare a termine nove procedimenti amministrativi per un costo complessivo almeno di 3.800 dollari e per un tempo pari a tredici giorni lavorativi. Il confronto con gli altri paesi è disarmante: si va dai quattro procedimenti in quattro giorni e zero costi in Danimarca ai sette procedimenti per otto giorni e 300 dollari in Francia.

Eppure resta un esempio di paradosso virtuoso il fatto che l'Italia sia uno dei paesi a più alto tasso di imprenditorialità e di maggiore presenza di piccole e medie imprese. Ma se gli "spiriti animali" prevalgano sullo oggettive difficoltà procedurali non si deve mettere in secondo piano la necessità di facilitare la nascita e lo sviluppo delle imprese, soprattutto in un momento come l'attuale in cui è vitale cercare di coalizzare tutti i fattori che possano spingere una ancora fragile e timida ripresa. In questa prospettiva la dimensione locale, quella dei distretti e degli assi di sviluppo come il Nord-Est o la via adriatica, non può che tornare ad essere fondamentale, così come fondamentale è che gli imprenditori possano esprimere la loro vitalità senza i lacci della burocrazia che si sommano inevitabilmente agli altri oneri fiscali e amministrativi.

Tuttavia alcuni casi sostanzialmente positivi, come quello di Pesaro illustrato nel libro Dal cielo alla terra: innovazione e sviluppo locale tra burocrazia e leadership, si rivelano un'eccezione e riescono soprattutto a far risaltare le carenze generali della pubblica amministrazione. Nel caso Pesaro le amministrazioni locali hanno forzato la mano all'abituale rigido schema di competenze, accompagnando le opportunità di insediamento e di crescita delle imprese, ma, scrivono gli autori, Antonio Mezzino e Gigi A. Montoli, «condizioni organizzative e deficit culturale del ceto dirigente della pubblica amministrazione generano una difficoltà a interpretare le dinamiche e i meccanismi dell'economia e dell'internazionalizzazione anche per il persistere di una mancanza di competenze manageriali e tecnico-professionali».

Il ruolo dei poteri pubblici, locali oltre che nazionali, può essere un fattore positivo per far funzionare i mercati con le infrastrutture reali o immateriali. Rispondendo alla necessità di attivare tutte le risorse disponibili su di un territorio, di mettere sempre più in rete le potenzialità imprenditoriali, di sviluppare percorsi virtuosi di promozione delle competenze. E vincendo quella sfida di fondo che è anch'essa un paradosso: pianificare l'innovazione, cioè creare tutte le condizioni utili perché i cambiamenti, le ristrutturazioni, i riposizionamenti strategici possano avere luogo. Lasciando poi al mercato il compito di fare la sua parte.

21 gennaio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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