Nello stilare la lista dei 100 uomini di sport più influenti al mondo, ieri il Times ha messo in cima a tutti Fabio Capello, ct dell'Inghilterra. Confermando un'ovvietà, e disvelando un equivoco. L'ovvietà è che nello sport l'importante non è partecipare, ma vincere. Capello lo ha fatto: 7 scudetti italiani, 2 campionati spagnoli, una Champions, una Supercoppa. Ha portato l'Inghilterra ai mondiali del Sudafrica con 9 vittorie su 10 incontri. L'equivoco è che la cosiddetta "simpatia" - di cui lo stesso ct si vanta di essere sprovvisto almeno quanto il collega Mourinho - non è categoria complanare alla competizione. Non c'entra nulla e chi la tira in ballo con "sì, però..." confonde pere e mele. L'antipatia del vincente - che, chiariamolo, è altra cosa dal fair play - può fare infuriare gli avversari (per invidia), ma è assolutamente irrilevante, anzi piace ai propri tifosi. Se in questa settimana i quotidiani del mondo hanno dedicato a Mourinho titoli cubitali è stato per aver battuto il Chelsea nella tana avversaria. Nessuno ha detto se faccia ridere o no a cena. Un trainer vince o no. La simpatia? È un optional.