Che ne è stato della "questione settentrionale"? Dopo aver tenuto banco a lungo, almeno fino alla prima parte di quest'anno, sembra essere stata rapidamente derubricata dal discorso politico. E, con essa, tendono a scivolare sullo sfondo alcuni dei nodi infrastrutturali su cui si era acceso il confronto all'inizio del 2009, come la sorte di Malpensa e la rete degli aeroporti del Nord.
Man mano che si avvicina la scadenza delle prossime elezioni regionali e si fa più intenso all'interno del sistema politico il confronto sulle candidature per le presidenze di amministrazioni importanti come quelle di Lombardia, Piemonte, Veneto, i temi della rappresentanza territoriale, che avevano animato il dibattito quando tutti difendevano le ragioni del federalismo, hanno via via perso consistenza.
L'esito di questa tendenza è che le candidature per le regionali sembrano ormai essere sul punto di venire demandate ai tavoli della politica romana, chiamati a stabilire, in base a complicate alchimie, gli equilibri tra le diverse componenti politiche. Il comportamento di centro-destra e centro-sinistra non sembra presentare grandi differenze, da questo punto di vista. In Veneto, è aperto da mesi il "caso Galan": sembrano lontani i tempi in cui il presidente della giunta regionale affermava la sua visione del primato del "partito di territorio" fin dal titolo ambizioso di un pamphlet, Il Nordest sono io. Nello schieramento di centro-destra, Galan è stato quello che è andato più in là nella rivendicazione di una forma di rappresentanza politica spinta all'identificazione con il territorio, sino al punto d'ipotizzare la possibilità di tener dentro le anime politiche principali della sua regione. La Lega Nord ha mosso da tempo guerra a questa posizione, rivendicando per un suo uomo la presidenza del Veneto. Il partito di Bossi ha avanzato la stessa richiesta di guidare il centro-destra anche in Piemonte, dove Roberto Cota dice da tempo di voler sfidare Mercedes Bresso, presidente uscente eletta da un centro-sinistra che non pare più così certo dell'opportunità di ricandidarla, dopo aver constatato che la popolarità di Sergio Chiamparino è superiore.
Difficile prevedere, a questo punto, quando queste incertezze potranno essere sciolte, sia perché il gioco delle candidature potrebbe ripartire da capo se il centro-destra si risolvesse, con una decisione molto sofferta, di lasciare la Lombardia alla Lega, sia perché è ancora lungo il tratto di tempo che separa dalla scadenza di presentazione delle liste, fissata per la metà di febbraio.
Il rischio è che si ingaggi un'interminabile guerra di logoramento, dominata da un'unica logica, quella dell'equilibrio tra le forze politiche che possono comporre gli schieramenti in lizza (con un ruolo cruciale riservato all'Udc e ai centristi). Ciò che condannerebbe all'oscuramento pressoché totale dell'agenda dei problemi del Nord, con il risultato pratico di espungere ogni accento e ogni sensibilità d'impronta federalistica nella composizione delle liste e nella scelta dei candidati. Invece le prossime amministrative sarebbero l'occasione buona per sottoporre a verifica i termini effettivi della questione settentrionale. Magari anche per concludere che le regioni attuali non hanno la dimensione sufficiente né il respiro amministrativo per confrontarsi con essi. L'esempio delle opere infrastrutturali dimostra per primo che le amministrazioni regionali finiscono per affrontare in ordine sparso interventi che richiederebbero una diversa consistenza e capacità operativa. Le regioni hanno spesso responsabilità e confini insufficienti per misurarsi con opere gestibili soltanto attraverso unità amministrative più ampie.
La consapevolezza necessaria per superare questi limiti potrà rafforzarsi solo se a guidare le regioni saranno personalità in grado di essere rappresentanti e interpreti delle domande dei territori. Capaci soprattutto di costruire e articolare le loro alleanze non a partire dalle sigle di partito, talvolta anche effimere, ma dal rapporto con l'universo degli interessi, delle professioni e dei mestieri delle varie aree. In modo che sia la società a imprimere alla politica la propria curvatura e non viceversa.