L'editoriale sulla Banca del Sud di Guido Tabellini sul Sole 24 Ore del 17 novembre sintetizza con grande efficacia le debolezze di un progetto che sembra ideato dal governo più per finire sui giornali che per affrontare i gravi e pressanti problemi del Mezzogiorno. La salvaguardia del risparmio meridionale è certamente un obiettivo prioritario. È vero infatti che una buona fetta dei risparmi del Sud viene trasferita dagli istituti nelle zone forti, dove le imprese e i cittadini ottengono molto più facilmente i denari che chiedono in prestito. Se questo accade, è perché le banche operano in un contesto di mercato che è oggettivamente più rischioso al Sud, dove gravano ritardi infrastrutturali, racket, lungaggini giudiziarie e inefficienze amministrative.
Se si vuole davvero affrontare questo grave problema, occorre anzitutto creare condizioni che rendano possibile una convergenza reale e di mercato. Non si può partire dalla fine, imponendo per legge una banca dei sogni senza fare nulla per abbattere in concreto i deficit strutturali che separano le realtà meridionali da quelle del Centro-Nord. Ogni operazione che non fa i conti con questo è destinata a trasformarsi in mero assistenzialismo o in propaganda.
Per perseguire questo obiettivo occorre mettere in campo un piano coraggioso e organico, capace di sbriciolare le zavorre che rendono sconveniente investire al Sud. Tabellini indica correttamente nell'istruzione e nella giustizia due direttrici fondamentali. Ebbene, bisogna sapere che in entrambi i casi la strada intrapresa dal governo va nella direzione opposta rispetto al necessario. Da una parte si è infatti rinunciato a realizzare un serio piano di efficientamento degli uffici pubblici, mantenendo macchine burocratiche male organizzate e scarsamente produttive. Dall'altra, si è arrivati a tagliare solo in Sicilia e Campania qualcosa come 15mila posti di lavoro tra docenti e personale tecnico. Vale a dire l'80% dei tagli alla scuola nazionali.
Bisogna poi puntare sul lavoro produttivo, incentivandolo con strumenti di fiscalità di sviluppo come il credito d'imposta, che non deve essere pagato dalle regioni. Serve un piano infrastrutturale vero, che non si riduca alla cantilena del Ponte sullo Stretto e punti prioritariamente sullo sviluppo della rete ferroviaria, visto che nel 2009 Fs ha indirizzato a Sud di Roma appena il 12% dei propri investimenti. È impensabile, infine, non aumentare le risorse per le forze dell'ordine, impegnate ogni giorno nella lotta al racket e alla criminalità organizzata. A queste misure si devono accostare provvedimenti urgenti tesi a contrastare le criticità sociali determinate o amplificate dalla crisi, che al Sud vedono gli effetti più devastanti. Dunque, sgravi alle famiglie, ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. E poi allargamento degli ammortizzatori sociali ai precari e ai parasubordinati attualmente scoperti. Certo, per fare tutto ciò non bastano le chiacchiere. Servono soldi veri. Ma molti di meno rispetto ai fondi destinati al Sud che il governo ha prosciugato. Basterebbe quindi restituire alle zone e alle fasce più deboli parte di quei denari scippati.
Sergio D'Antoni è deputato del Partito democratico