Svoltare certo, ma per dove? L'avvocatura si trova di fronte a un passaggio di quelli cruciali, destinati a ridefinire per gli anni a venire ruolo e peso di una categoria determinante per il futuro di un paese che ha ancora l'ambizione di coniugare garanzie e certezza del diritto. Un paese che ospita però il maggior numero di avvocati dell'Unione europea, che ha il maggior carico di cause arretrate, che ha un bisogno assoluto di poter contare su legali forti, preparati e autorevoli.
Oggi invece gli avvocati sono in crisi d'identità, esposti come altri professionisti, ma forse più di altri per lo scarto tra il "come eravamo" e il "come siamo", al vento freddo della crisi, alle teorie di chi ne sottolinea un'irreversibile proletarizzazione.
In queste ore viene varata una manovra per mettere in sicurezza la Cassa forense, ma soprattutto riceve il primo sì in Parlamento la riforma dell'ordinamento forense che gli avvocati attendono da 70 anni. Un testo condiviso da larga parte dell'avvocatura, destinato forse a fare da battistrada a una più ampia revisione dell'intera disciplina delle libere professioni. Un buon risultato, non fosse altro che per il metodo, testimone della volontà e della capacità di fare da soli, per una volta senza conflitti.
Quanto alla sostanza, un giudizio positivo non può che riguardare la maggiore rigidità dell'esame professionale, nell'ambizione di condurre a indossare la toga i giovani migliori usciti da facoltà di giurisprudenza sempre troppo affollate. Valutazione favorevole anche per una giustizia interna meno domestica (tra le ragioni di un ordine non può non esserci il rigore deontologico). Maggiori perplessità – ma il testo può ancora migliorare – per i vincoli sulla consulenza e sul ritorno di due fantasmi del passato come le tariffe minime e il divieto di legare compensi ed esito della causa. Misure, soprattutto queste ultime, destinate a far salire il costo giustizia per imprese e cittadini.