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INTERVISTA / De Soto: «Il diritto salverà l'economia»

di Marco Magrini

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21 Ottobre 2009

Solo il diritto può salvare l'economia. Solo un sistema legale dove le transazioni vengono ufficialmente registrate, può accompagnare cinque miliardi di persone - quelli che non conoscono il diritto di proprietà - dentro i canoni dell'economia globale. «Il diritto ha avuto un'importanza fondamentale, nel creare la prosperità dal dopoguerra a oggi, un periodo durante il quale il mondo ha creato tanta ricchezza quanto nei due millenni precedenti», sentenzia Hernando de Soto Polar, l'economista peruviano spesso osannato (la Thatcher lo paragonò ad Adam Smith) e in perenne odore di Nobel. «Prendiamo l'Egitto: il suo patrimonio immobiliare è di 260 miliardi di dollari, sessanta volte quanto il Paese ha ricevuto in aiuti internazionali da quando Napoleone se n'è andato. Solo con un solido sistema legale a tutela della proprietà, la gente potrebbe ottenere finanziamenti e investire le risorse che già esistono, per far girare l'economia».
De Soto, ieri a Venezia per partecipare al Congresso nazionale del notariato, dice di non essere «per nulla convinto» che la recessione sia agli sgoccioli. Tutt'altro. Ma ha una tesi interessante. «Non credo che mille miliardi di mutui subprime abbiano innescato 60mila miliardi di perdite in un anno», confessa. «Mi colpì l'ex ministro del Tesoro Usa, Paulson, quando chiese al Congresso 780 miliardi per riformare gli asset "malati". Poi, venti giorni dopo, rivelò che quei soldi sarebbero serviti a stimolare l'economia. È andata così perché quegli asset malati non si trovavano. Non erano registrati. Per la prima volta l'economia americana, cresciuta sui princìpi legali anglosassoni, aveva creato una finanza sommersa dove i derivati (carta di carta di carta) non erano neppure tracciabili. La Sec parla di 600mila miliardi di dollari, dieci volte il Pil mondiale».
Per spiegarsi, de Soto porta un curioso esempio. «Pochi giorni dopo l'11 settembre, gli investigatori sapevano tutto sugli attentatori: alberghi, acquisti, case affittate, scuole frequentate. E sa perché? Perché il diritto di proprietà implica di tenere traccia di tutte queste cose: in Afghanistan o in Messico non sarebbe successo». Ora, il diritto di proprietà esiste nel Nord America, in Europa e in certi Paesi asiatici. «Riguarda solo un miliardo di persone - commenta de Soto, l'uomo che ha salvato il Perù dal tracollo, ai tempi del primo mandato del presidente Fujimori - a cui possiamo aggiungere 700 milioni di quelli come me: terzomondisti, ma occidentalizzati. I restanti cinque miliardi di individui non sanno chi possiede cosa».
O meglio, le tribù lungo il fiume Congo o il Rio delle Amazzoni lo sanno benissimo, ma senza uno standard legale che li protegga. Anzi, che favorisca la loro crescita economica. «Se avessero il diritto dalla loro parte, scoprirebbero che non devono più morire per difendere quel che hanno. Dopodiché, diventerebbero interessati alla giustizia. Poi ai processi legislativi. Infine, alla democrazia». Scusi, ma sotto quest'ottica, il diritto di proprietà non dovrebbe essere incluso fra i diritti umani? «Assolutamente sì», risponde Hernando de Soto, omonimo di un celebre conquistador spagnolo, che non risulta essere suo antenato. «Con Madeleine Albright, presiedo la Commissione Onu per l'empowerment legale dei poveri, dove stiamo lavorando in questa direzione».
Questo non vuol dire che il divario fra mondo ricco e povero non si stia in parte chiudendo. «I telefoni cellulari hanno fatto miracoli, nel connettere le persone in Africa. Ma tutto dipende da come si evolverà la crisi». Perché, secondo de Soto, molti nodi devono ancora venire al pettine, a cominciare da «quell'eccesso di liquidità» generato dai piani nazionali di stimolo all'economia. «Sarà l'occasione per il cambiamento», commenta. Per il resto, la storia insegna. «I giapponesi erano poveri come i peruviani - spiega - poi, dopo la guerra hanno adottato i diritti legali e oggi la loro economia è undici volte la nostra. Gli svizzeri non hanno né cacao né zucchero, ma guardi cos'hanno fatto grazie alla forza dei contratti legali». Anche l'esempio recente della Cina parla chiaro e forte.
Proprio com'è solito fare de Soto. Anche a chiedergli del Nobel di cui parlano tutti. «La parola "proprietà" è a lungo risuonata come una parola di destra. Chissà, a Stoccolma qualcuno potrebbe non gradire», risponde l'economista, che si professa «di sinistra». Anche se, negli anni delle grande riforme peruviane, ha rischiato la vita nel contrastare - con l'economia e il diritto - i guerriglieri maoisti di Sendero Luminoso. Il suo libro più celebre, «El otro sendero», un altro sentiero, era un chiaro invito al suo Perù a disfarsi di quell'ideologia. E il Perù ci è riuscito.
Ma c'è un altro sentiero per l'economia del mondo globalizzato a metà? «Credo che per cambiare strada, ci voglia uno shock. Che forse arriverà. Perfino Marx e Adam Smith dicevano che la finanza doveva essere a servizio dell'economia reale. Poi, all'improvviso, ci siamo trovati davanti all'esatto contrario. Questo sì che è un sentiero da abbandonare». Per il resto, quella grande fetta di mondo senza neppure il diritto alla proprietà potrebbe un giorno entrare compiutamente nell'economia globalizzata, rivitalizzandola. Perché solo il diritto può salvare l'economia dai suoi rovesci.

  CONTINUA ...»

21 Ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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