Né assistenzialismo né protezionismo. No, la modernizzazione del sistema-Italia non passa da qui ma impone un paradigma più audace, che è fatto di quattro diversi pilastri: il mercato, le regole, l'Europa e la coesione sociale. Dopo anni di sbornie finanziarie la crisi sta rivalutando giorno dopo giorno il ritorno all'economia reale e fa riscoprire l'importanza dell'industria manifatturiera, che per l'Italia vuol dire soprattutto anche se non solo il made in Italy delle piccole, medie e grandi imprese. Ma l'industria italiana è la prima a sapere che non può vivere di rendita e che il futuro si costruisce innovando e conquistando nuovi mercati.
Sembrano questioni lontanissime ma c'è un evidente filo rosso tra il rifiuto del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, di tornare al passato con la cultura del posto fisso e il suo impegno a difendere il made in Italy non fuori o contro l'Europa ma, al contrario, chiamando a raccolta tutte le energie del paese per conquistare la definitiva approvazione del regolamento Ue sull'obbligo di etichettare i prodotti importati dai paesi terzi. L'occupazione sta a cuore a tutti ma non si difende ingessando i posti di lavoro con misure vincolistiche che scassano gli equilibri delle imprese senza creare sviluppo. Analogamente, la giusta impazienza del made in Italy per i ritardi dell'Europa nell'imporre la trasparenza sull'origine dei prodotti non può risolversi in scorciatoie autarchiche che rischierebbero di favorire la concorrenza estera o il dumping dei cinesi di via Paolo Sarpi a Milano, piuttosto che il fior fiore del lavoro italiano.
Sono molto distanti gli anni in cui l'industria remava contro l'Europa: oggi ha piena coscienza di sé e sa che, anche in tempi di crisi, dal mercato e dalla globalizzazione indietro non si torna. Ma sa anche che il mercato senza regole equivarrebbe al far west e che la globalizzazione non governata sarebbe fonte di nuove ingiustizie. Tenere alta la bandiera della modernizzazione in questi tempi non è facile ma sarebbe impossibile senza la collaborazione di tutte le forze sociali e produttive, nella speranza che anche la politica impari a ricercare i punti di unità piuttosto che le divisioni.