Barack Obama sta promuovendo negli Stati Uniti la sua riforma sanitaria sparando a zero contro l'attuale regime e contro le assicurazioni private, che ne sono indubbiamente una discussa architrave.
Il sistema Usa poggia infatti su strutture sanitarie private e spese sostenute da imprese private (fondi sanitari e assicurazioni) a fronte di sottoscrizioni da parte dei singoli cittadini, delle imprese, delle categorie e talvolta anche della comunità o dello stato (come nel caso di cittadini minorenni indigenti). Ma non è un sistema efficiente. Pur avendo creato e creando tuttora indiscusse eccellenze scientifiche e tecnologiche, costa di gran lunga più che in qualunque altro paese del mondo – circa il 17% del Pil contro una media del 6-8% degli altri paesi evoluti – senza per questo garantire un'accettabile livello di assistenza sanitaria alla totalità dei cittadini.
Eppure basta tornare indietro di soli 15 anni, a metà degli anni 90, per ritrovarsi in una fase in cui il sistema sanitario americano ha prodotto idee e innovazioni capaci d'insegnare al mondo intero cosa e come fare per conciliare qualità ed efficienza sanitaria. Ovvero qualità dei servizi e contenimento dei costi del sistema.
Mi riferisco ai cosiddetti Hmo (Health maintenance organization): piani sanitari offerti da fondi e compagnie d'assicurazione attraverso i quali è possibile per gli assicurati ottenere qualsiasi servizio presso un numero congruo di strutture sanitarie appositamente selezionate dalla compagnia d'assicurazione che ne paga le prestazioni. Il cliente contatta la compagnia che prenota il servizio presso la struttura maggiormente qualificata e fruisce del servizio – dalla visita medica all'intervento chirurgico – senza sborsare un dollaro. È la compagnia a pagare, previa periodica verifica degli standard di qualità del servizio e della congruità dei costi. La compagnia, che rappresenta migliaia se non milioni di clienti, diviene così una contraente forte rispetto alla casa di cura, alla clinica o al singolo professionista sanitario, e di fatto un valido tutore degli interessi dei propri assicurati. La struttura sanitaria è spronata a mantenersi sempre efficiente e competitiva: perché solo così facendo mantiene a suo vantaggio la vastissima clientela rappresentata dagli Hmo.
Questo modello americano anni 90 è stato analizzato e replicato in Australia come in Olanda, in Nuova Zelanda come in Gran Bretagna. In Italia ad adottare Hmo è stato il nostro gruppo che oggi serve 1,5 milioni di clienti in 5mila strutture convenzionate.
Cos'è successo, invece, negli Usa, in questi ultimi quindici anni? È successo che il modello Hmo è stato abbandonato nella pretesa di superarne il limite caratteristico che è quello di circoscrivere la scelta del cliente a un novero predefinito di strutture assistenziali. Il risultato è stata però un'escalation nella direzione del cosiddetto fee-for-free: si paga di più in cambio della totale libertà di scelta. Nell'immediato raccogliendo i consensi di tutti: cittadini che si sono sentiti liberi di andare ovunque, strutture sanitarie e assicurazioni che non hanno più avuto la necessità di sostenere un confronto e una "tensione professionale" che pure era in grado di portare risultati virtuosi. La crisi di questa politica certamente lecita ma probabilmente velleitaria è sotto gli occhi di tutti, ed è sotto gli strali di Obama. Che però, volendo, potrebbe trovare l'antidoto ai mali della sanità americana di oggi anche nel suo recente passato.
Andrea Pezzi è direttore generale di Unisalute - Gruppo Ugf-Unipol