Se fossero riusciti a sbarcare, forse la vita degli eritrei persi nel Canale di Sicilia sarebbe stata simile a quella di tanti che li hanno preceduti in Italia. Lavori difficili, un intreccio continuo di umiliazioni e speranze, una vita sempre in bilico. Fino a un giorno davanti a un ufficio postale o a una banca per prendere al volo il ticket dell'"ultima" sanatoria. Quella dopo la quale niente sarà più come prima. E, finalmente, l'Italia avrà regole chiare per disciplinare l'ingresso degli immigrati. Ma la sorte ha deciso altrimenti. E la vita dei tanti eritrei morti nel canale di Sicilia non potrà correre sugli stessi binari delle badanti e delle colf che, in queste ore, aspettano di essere assunti da un datore di lavoro per regolarizzarsi. Per uscire alla luce del sole e provare a trovare una nuova vita in un nuovo paese.
Un corto circuito del calendario. Che avvicina e, nello stesso tempo, separa i destini. Sullo sfondo un sistema di "s-governo" dell'immigrazione che mostra sempre di più la corda. E che si rivela spesso incapace di gestire il flusso delle vite.