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NUOVI RICCHI / Quella luxury class che serve a Pechino

di Riccardo Sorrentino

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22 Aprile 2010

Sono arrivati in tanti, sul mercato, come solo loro sono in grado di fare: i cinesi hanno sorpassato gli americani e sono oggi i maggiori clienti di Anversa, il distretto belga dei diamanti. E questa volta l'industria non c'entra: a comprare sono i gioiellieri.
È un segnale importante. Da tempo in Cina c'è una larga fetta di popolazione ricca, che chiede consumi di lusso: 13 milioni di persone, i nuovi capitalisti. Ormai, però, non sono solo loro ad animare la domanda. C'è anche la classe media che avanza e questo sarà il fenomeno che segnerà, in questi anni Dieci, l'economia globale e la politica cinese.

Anche dopo la crisi, attraversata da Pechino con una certa agilità, lo sviluppo possibile delle famiglie urbane del paese resta impressionante. Qualche anno fa, il McKinsey Global Institute (Mgi) aveva previsto che in questo decennio sarebbe emersa una classe medio-bassa di circa 290 milioni di persone che sarebbe cresciuta a 520 milioni nel 2025. A partire dal 2015 molte famiglie sarebbero inoltre passate alla classe medio-alta. Analisi più aggiornate portano a conclusioni appena meno ottimistiche. Dai 56 milioni di persone del 2000 e dai 157 milioni di oggi, la classe media in Cina - secondo la World Bank - potrebbe raggiungere nel 2025 i 361 milioni: e la sua domanda di beni al consumo diventerà nel 2020 la più alta del mondo, anche se dopo pochi anni il primato passerà all'India.

Un po' di cautela, con queste previsioni, è in realtà opportuna. La Cina rivela spesso sorprese e i consumi potrebbero non salire così in fretta. Come accade in tutta l'Asia orientale, i cinesi amano risparmiare, fino al 25% del loro reddito. Il motivo tradizionale di questa parsimonia è l'elevato rischio di catastrofi naturali, e l'assenza di un moderno sistema di welfare consiglia alle famiglie di non abbandonare antichi comportamenti. Pur nella rapida crescita dell'economia, la quota dei consumi sul totale si è persino ridotta: negli anni 80 era pari al 55% del Pil, nel 2008 al 37 per cento. Ha però giocato in questo fenomeno - spiega un'analisi di Kai Guo e Papa N'Diaye per l'Fmi - anche la riduzione del reddito delle famiglie in proporzione al Pil: è alle aziende che è andata finora una parte crescente dei redditi generati.

Questo significa che occorrerà una diversa strategia economica, a sostegno di famiglie e consumi. Qualcosa già s'intravvede: la grande sfida del governo di Pechino è da sempre quella di tener insieme un paese molto diversificato. Una classe media relativamente omogenea può servire ottimamente allo scopo e la Cina sembra andare proprio in questa direzione: «Eviterà di diventare un'"economia da manubrio" come accade a molti paesi emergenti, con molti poveri, un piccolo gruppo di ricchissimi e solo un po' di persone in mezzo», spiega la ricerca Mgi.

Sono elevate anche le aspettative sul ruolo politico di questa nuova classe media. In molti paesi la popolazione urbana ha chiesto democrazia e un sistema giuridico formale, perché i suoi diritti non possono essere garantiti da relazioni informali con l'élite politica, di fatto riservate alla classe più ricca. Per la Cina, una ricerca dei politologi Jie Chen e Chunlong Lu ha già mostrato la voglia di contare di più nelle elezioni dei jumin weiyuanhui, i Comitati di quartiere.

Anche in questo caso è meglio però frenare gli entusiasmi. In Cina il partito, molto pervasivo, ha quasi sostituito lo stato; come è già avvenuto - il filosofo Michel Foucault lo ha spiegato bene - nella Germania nazista, e quindi nella Russia sovietica e in parte anche nell'Italia fascista. Il bisogno di relazioni formali potrebbe quindi essere meno forte che altrove. «Il partito - ha detto il sociologo del diritto Ethan Michelson in un convegno alla Brookings Institution - sta scommettendo che un miglior tenore di vita produrrà quel sostegno popolare di cui ha bisogno per restare al potere».

A suo vantaggio gioca anche il fatto che «la classe media ha sostenuto regimi autoritari e ibridi ovunque nel mondo, anche i governi fascisti e il maccartismo negli Usa. Immaginare che l'uscita dal comunismo comporti inevitabilmente il passaggio alla democrazia significa ignorare i tanti altri regimi possibili nel futuro della Cina».

riccardo.sorrentino@ilsole24ore.com

22 Aprile 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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