I dati sui redditi medi dichiarati dai contribuenti nelle città italiane impressionano per le differenze, ma non costituiscono certo una sorpresa. Nella città più ricca (Milano) si dichiara tre volte quello della città più povera, Adria. Le prime quattro città per livello di reddito sono tutte lombarde; per trovare una città del Sud, bisogna scendere alla 33esima posizione. Viceversa, le ultime venti città sono tutte situate nel mezzogiorno. Ma il divario Nord-Sud non è l'unica chiave di lettura suggerita dai dati.
Le due grandi metropoli e capoluogo di regione, Milano e Roma, spiccano rispetto ai relativi territori. Viceversa, in altre Regioni sono le città più piccole a dominare nella classifica dei redditi. Siena e Pisa sono più ricche di Firenze, Padova e Treviso di Venezia, Novara lo è di Torino. Certo i dati vanno presi con cautela. Stupisce per esempio la posizione relativa di Trento e Bolzano, che appaiono più povere di Como e Firenze. Bisogna però ricordare che si tratta dei redditi dichiarati, con tutto ciò che ne consegue.
Ma il quadro generale che ne emerge è chiaro. Ed è un quadro su cui il legislatore dovrebbe riflettere seriamente. La legge delega sul federalismo fiscale, approvata nel 2009, è ora in via di attuazione. Non c'è dubbio che alcune cose previste nella legge mal si conciliano con la realtà fotografata dai dati sui redditi.
Per esempio, un'indicazione che si ricava dalla lettura della legge è che addizionali e sovraimposte Irpef dovrebbero diventare uno dei cardini dell'autonomia regionale e locale. I dati del Sole 24 Ore consigliano molta cautela nel perseguire questa strada.
Difficile costruire un sistema federale sostenibile quando le differenze nell'attribuzione delle risorse tributarie sono così rilevanti. Per i comuni, in particolare, è necessario ampliare la batteria dei tributi disponibili. È stato sicuramente un errore abolire l'Ici sulla prima casa, che offriva un gettito sicuro ai comuni e sui quali c'era un chiaro rapporto tra la base imponibile e le politiche svolto a livello municipale; il valore di una casa dipende dai servizi offerti dal comune.
Ma anche altre tipologie di imposte dovrebbero essere considerate. Per esempio, i consumi sono distribuiti in modo più uniforme sul territorio del reddito. E una compartecipazione all'Iva su base comunale potrebbe anche tener conto del fenomeno del pendolarismo, soprattutto per le città di grandi dimensioni. I pendolari consumano in loco, ma non pagano per i servizi di cui usufruiscono e che sono finanziati con le imposte pagate dai residenti. Una compartecipazione comunale all'Iva servirebbe a riequilibrare il sistema.
Una seconda indicazione che emerge è un auspicio a una grande attenzione nell'attuazione della legge per quanto riguarda i servizi che nel nuovo sistema i comuni dovranno offrire. La legge delega è molto rigida su questo punto; identifica un insieme di funzioni fondamentali che tutti i comuni dovrebbero offrire (circa l'80% delle spese attuali) e pretende di costruire un sistema perequativo che finanzi tutti questi servizi nella stessa misura.
Ma i comuni, anche solo limitandosi alle città di medie-grandi di questo campione, sono molto diversi tra di loro e hanno esigenze differenziate. Un'impostazione troppo rigida rischia solo di essere dannosa oltre che irrealistica. Meglio piuttosto selezionare alcuni servizi su cui c'è una forte esigenza solidaristica a livello nazionale (per esempio, la dotazione di asili nido) e concentrare su questo lo sforzo perequativo.
Infine, i dati ci dicono qualcosa anche sul tema annoso delle città metropolitane. La legge delega le identifica (sono nove, di cui otto già note, a cui all'ultimo momento è stata aggiunta anche Reggio Calabria) ma non dice cosa queste devono fare. Una recente proposta governativa risolve questo problema elencandone le funzioni, ricalcandole da quelle delle attuali Province e aggiungendone altre. Ma l'ipotesi di fondo della proposta governativa è che tutte le città metropolitane, una volta istituite debbano fare tutte le stesse cose. Alla luce delle differenze che emergono anche solo dal lato delle risorse economiche, esemplificate qui dal reddito dei cittadini, ha senso questa impostazione? O non era meglio prevedere anche in questo caso una differenziazione delle funzioni, sulla base delle esigenze diverse del territorio?