I politici stanno provando a normalizzare i banchieri centrali? Approfittando intelligentemente di alcune false verità che la recente crisi ha contribuito a rafforzare nell'opinione pubblica, è evidente una tendenza a ridiscutere le regole nella gestione della moneta e nella finanza, al fine di ridimensionare il ruolo delle banche centrali nella politica economica.
Hanno iniziato gli americani. Approfittando del dibattito sul rinnovo del mandato al governatore Bernanke, sia da parte democratica che repubblicana si sta provando a ridefinire ruolo e responsabilità della Fed, riducendone l'indipendenza. Ma l'Europa non è da meno. Nei giorni scorsi per la prima volta il parlamento europeo ha chiesto di esaminare, ascoltandoli, i tre candidati alla vicepresidenza Bce. Allo stesso tempo, il progetto europeo di disegno della vigilanza finanziaria ha visto crescere il ruolo della politica e ridurre quello della Bce.
Il messaggio che i politici stanno lasciando passare si può riassumere in tre proposizioni: la crisi finanziaria è nata e si è sviluppata anche a causa di una cattiva politica monetaria e di una cattiva politica di vigilanza sui mercati; le banche centrali sono responsabili sia della politica monetaria che di quella di vigilanza: quindi, avendo fallito nella propria missione, occorre sottoporle a più stretto controllo, rendendole meno indipendenti.
Un ragionamento che pare d'acciaio: peccato che sia sbagliato per due terzi, se si chiarisce che cosa è la missione di una banca centrale, e qual è il nesso con l'indipendenza. Ripartiamo dai fatti: una banca centrale indipendente - o volgarmente detta monetarista - è quella caratterizzata dal diritto/dovere di perseguire un obiettivo principale - la stabilità dei prezzi – e quindi tende a non essere coinvolta nella vigilanza bancaria. La banca centrale monetarista si contrappone a quella che ha invece più di un obiettivo, anche in conflitto tra loro, e che tende ad avere responsabilità anche nella vigilanza; per simmetria la definiamo keynesiana.
Ricordiamo i dati, visto che, soprattutto dagli anni 80 ad oggi, si è andata accumulando un'abbondante evidenza empirica sulle banche centrali indipendenti. Innanzitutto scopriamo che avere una banca centrale monetarista è divenuto sempre più comune, rispetto alla banca centrale keynesiana. Se consideriamo oltre cento paesi, tra loro eterogenei, vediamo che negli anni 70 le banche centrali keynesiane erano oltre il 50%, quelle monetariste intorno al 15%; il resto aveva un assetto istituzionale intermedio. Negli anni 90 la situazione si ribalta: le banche centrali keynesiane calano drasticamente, non arrivando al 20%, mentre quelle monetariste raddoppiano, salendo intorno al 30 per cento. Ma avere una banca centrale monetarista conviene? La risposta è positiva, se consideriamo le due variabili cruciali nell'attuale dibattito post-crisi: la stabilità monetaria e quella finanziaria.
Finora infatti le banche centrali monetariste hanno ben perseguito il loro obiettivo primario: il controllo dell'inflazione, soprattutto nelle economie sviluppate. In secondo luogo, le banche centrali monetariste – almeno finora - hanno tutelato meglio anche la stabilità monetaria.
La spiegazione è semplice: essendo vincolate a tutelare un solo obiettivo – la stabilità monetaria con un solo strumento, la politica monetaria - hanno le mani legate, e posso resistere meglio sia alle pressioni della politica che a quelle delle grandi banche. Non è un caso che la banca centrale monetarista per eccellenza – la Bce – è quella che in assoluto ha saputo gestire meglio la crisi, mentre la Fed – banca centrale keynesiana – ne è uscita con le ossa rotte. Se qualcuno nota che anche la Bank of England, monetarista, non ha fatto una gran figura, occorrerà ricordargli che l'essere una banca centrale indipendente non è una panacea. L'assetto istituzionale è condizione necessaria, ma non sufficiente, di buone performance. Poi contano i governatori, e le loro interazioni con altri attori.
Dunque, dopo la lezione della crisi, la ricetta dovrebbe essere: mantenere le banche centrali indipendenti nella gestione della politica monetaria, evitando che si occupino anche della vigilanza. Ma ai politici questo sembra non bastare. Passati i momenti più acuti, sembra essere questo il momento giusto per ridimensionare quelle potenti tecnocrazie che sono diventate le banche centrali.
I banchieri centrali però non ci stanno. Bernanke, nella sua uscita pubblica in gennaio dinnanzi agli economisti americani, ha lanciato in modo forte e chiaro due messaggi. In primo luogo, ha rivendicato la correttezza della politica monetaria messa in atto dalla Fed prima, durante e dopo la crisi finanziaria vera e propria, segnalando come causa principale della crisi stessa i deficit di regolamentazione e di vigilanza. In secondo luogo, e di riflesso, ha chiesto maggiori poteri per la Fed, in modo da poter meglio monitorare il sistema bancario. Poteri di monitoraggio richiesti a gran voce anche dalla Bce, resasi conto che i progetti europei di riforma la stanno pian piano ridimensionando.
Politici da un lato, banchieri centrali dall'altro? E di mezzo? Non Clint Eastwood, come nei film di Sergio Leone, ma i cittadini, che hanno tutto da perdere quando non sono chiare le regole tra potere politico, potere finanziarie e burocrazie.