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I cattivi consigli della demagogia

di Luigi Zingales

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22 gennaio 2010

Agli inizi della crisi avevo azzardato che le conseguenze più durature sarebbero state non tanto quelle economiche, ma quelle politiche. Purtroppo i fatti sembrano darmi ragione. I dati sull'attitudine degli americani verso le istituzioni finanziarie che Paola Sapienza e io raccogliamo trimestralmente (www.financialtrustindex.org) indicano un'aumentata fiducia degli americani nei confronti dell'economia in generale, ma una perdurante sfiducia nei confronti delle banche. Mentre la domanda di intervento negli altri settori scende, la domanda di intervento nei confronti delle banche sale.

Il presidente Barack Obama, che certamente dispone di sondaggi molto più dettagliati, non ha fatto attendere la sua risposta. Giovedì scorso ha annunciato una tassa sulle grandi banche in grado di raccogliere 9 miliardi di dollari all'anno per almeno dieci anni, ieri ha annunciato la reintroduzione della separazione tra depositi e proprietory trading, come esisteva con il Glass Steagall Act. Queste iniziative non sono del tutto prive di merito. Se l'alternativa è lasciare tutto come prima, ben venga una tassa sulle banche che penalizza (anche se molto poco) l'uso della leva finanziaria e ben venga una separazione tra attività di trading a depositi che riduce (anche se di poco) il rischio di una nuova crisi finanziaria. Ma è legittimo chiedersi perché dobbiamo accettare il meno peggio da un presidente eletto un anno fa con un enorme supporto popolare. Un presidente che per un anno ha governato con una maggioranza inattaccabile. Un presidente eletto sull'onda della speranza e dello slogan «Yes, we can».

Queste iniziative non sembrano disegnate per risolvere il problema nel modo più efficace, ma per placare la rabbia popolare. La tassa sulle banche è stata venduta come un metodo per far pagare i responsabili per i costi sostenuti dai contribuenti per il Troubled Asset Relief Program. Ma le stime della stessa Casa Bianca indicano che i maggiori costi sono stati sostenuti per gli aiuti nel settore dell'auto e in quello abitativo. Perché allora non tassare i sindacati (principali beneficiari del collasso di Gm e Chrysler e principali beneficiari dell'intervento statale) e i proprietari di casa che si sono indebitati troppo? L'intervento puzza di demagogia spicciola. Lo stesso vale per la decisione di reintrodurre la separazione tra depositi e attività di trading. La crisi è iniziata per l'eccessiva assunzione di rischio da parte delle banche di investimento che non avevano alcuna base di depositi.

Bear Stearns, Lehman e Merrill Lynch hanno messo a rischio l'intero sistema finanziario non perché hanno messo a rischio i depositi ma perché erano talmente indebitate che, quando i prezzi dei titoli subprime sono scesi, hanno innescato una spirale negativa in cui i prezzi più bassi causano una riduzione del valore delle azioni, che aumenta l'effettiva leva finanziaria forzando le banche di investimento a vendere più titoli, vendite che causano un'ulteriore riduzione dei prezzi e così via. Questa spirale nulla ha a che fare con i depositi. Per assurdo, se avessero avuto accesso ai depositi, queste banche d'affari sarebbero state più stabili.

Perché allora il presidente Obama ha scelto questa strategia? Perché è quella più facile da spiegare alla folla inferocita. Nella Russia zarista la gente spesso linciava i medici che venivano a curare il vaiolo perché li riteneva responsabili dell'epidemia. Erano i tempi in cui i medici visitavano i villaggi sperduti solo quando c'era un'epidemia, e quindi era facile per i contadini ignoranti interpretare la correlazione tra visita dei medici ed esplosione dell'epidemia come un rapporto di causa-effetto. Lo stesso vale per l'abolizione del Glass Steagall Act. La crisi segue l'abolizione della separazione tra banche commerciale e banche d'affari ergo – nell'immaginazione popolare – l'abolizione è la causa della crisi.

Ma questa strategia corrisponde anche alla necessità dell'amministrazione Obama di ricrearsi un'immagine di indipendenza dal settore bancario. La nostra indagine mostra che il 32% degli americani pensa che l'amministrazione Obama agisca nell'interesse delle banche e non nell'interesse del paese. Siamo ancora lontani dal 50% raggiunto dall'ex segretario al Tesoro Henry Paulson, ma questa percentuale è in forte aumento. Per ricrearsi un'immagine di indipendenza Obama non poteva certo fare affidamento sul segretario al Tesoro Tim Geithner e sul consigliere Larry Summers (uno dei fautori dell'abolizione del Glass Steagall Act) percepiti come troppo compromessi con il potere finanziario.

L'unica figura credibile nell'amministrazione è l'ex governatore Paul Volcker, che da tempo sostiene la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento. Da qui la necessità per Obama di abbracciare le tesi di Volcker per sperare di guadagnarne in credibilità. Ma queste tesi non sono le più adatte a prevenire una nuova crisi. Nonostante l'enorme stima che nutro per Volcker, mi ricorda quei generali che combattono le guerre passate e non quelle future. Se vogliamo evitare un ripetersi della crisi, ben più utile sarebbe un'imposta sull'indebitamento a breve e un limite effettivo all'indebitamento delle grandi istituzioni finanziare, siano esse banche commerciali, d'affari, o hedge funds. Queste riforme sarebbero più difficili da spiegare all'uomo della strada, ma, a differenza di quelle proposte da Obama, ricreerebbero gli incentivi giusti nel sistema finanziario, ristabilendo anche la parità di condizioni tra operatori con veste giuridica diversa.

  CONTINUA ...»

22 gennaio 2010
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