Siamo a Lainate, pochi chilometri a Nord di Milano. Sergio Bassanetti guida una storica azienda dove la crisi non si è vista. La D'Andrea, che fattura 14 milioni di euro ed esporta il 70%, è leader di nicchia nei "tool", gli accessori hi-tech per i robot.
Continuando sull'A8, a Cardano al Campo, si incontra Luigi Galdabini che presiede un'azienda con due stabilimenti, il primo a Varese e il secondo in Svizzera. Una piccola «multinazionale tascabile» che fabbrica presse, un settore dove l'Italia ha conquistato il podio dei produttori davanti a Cina, Germania e Giappone, con un business di oltre 2,6 miliardi di euro e la piazza d'onore nell'export (dopo la Germania).
Due storie di family business made in Italy, unite dall'appartenere al distretto meccatronico più grande d'Europa, che raccontano come è tornato a volare l'inossidabile «calabrone italiano».
Tra i mille «segreti industriali» dell'Italia c'è infatti anche quello di avere, oltre ai «cluster» manifatturieri, anche l'intera filiera produttiva, a cominciare appunto dalle macchine che servono a fabbricare i beni per la casa e la persona. Quella meccanica strumentale che riesce a piazzare all'estero ben sette macchinari ogni dieci prodotti. E che, a partire da novembre, sta ritrovando slancio con il ritorno delle commesse estere e i primi frutti dolci della legge Tremonti ter sugli utili reinvestiti.
Insomma, sembra proprio di capire che nel comparto dei cosiddetti beni strumentali il made in Italy sia in grado di battere la crisi 2010 (in verità dopo aver archiviato un annus horribilis in molti comparti perché il ricco portafoglio ordini si era andato esaurendo).
E questo nonostante la dimensione media delle nostre aziende si aggiri appena sui 15 dipendenti. Tutti temi, accanto alle prospettive di crescita del Pil e alla competitività del paese, che sono stati affrontati durante l'incontro romano che ha discusso il rapporto Aspen-Fondazione Edison anticipato ieri dal Sole 24 Ore.