«Chi è ladro e chi è spia non è figlio di Maria» ci ripetono fin da bambini. Attenzione: ladro d'accordo, ma spia?
Questo è il dibattito scatenatosi su noisefromamerika.org, il sito animato da economisti italiani che vivono negli Usa. L'occasione è stata offerta da Michele Boldrin, professore della Washington University di St. Louis. Boldrin racconta che, alla domanda di una giornalista italiana riguardo il nuovo codice di onore adottato al Liceo Parini di Milano per il quale gli studenti si impegnano a non copiare e a non far copiare, egli abbia risposto che lo stesso accade negli Stati Uniti; anzi, lì l'honor code richiede persino di denunciare chi copia.
Il fatto che in Italia le abitudini siano diverse e chi non fa copiare è colpevolizzato e se denuncia le malefatte degli altri è una spia (e - aggiungo io- viene pure menato) la dice lunga sulle differenze che ci sono nel nostro paese rispetto ad Oltre Atlantico: clan e inganno da una parte, onestà e meritocrazia dall'altra. In America non si utilizza il verbo to copy ma to cheat che sta per imbrogliare: in un sistema in cui si fanno le classifiche tra chi arriva nel primo 10% del proprio corso e bisogna lottare per essere ammessi nelle grandi università è ovvio che copiare vuol dire raggirare i bravi che rimangono esclusi dai parassiti e può essere addirittura autodistruttivo (paradossalmente chi ha copiato da me può prendermi il posto).
Conclusione di Boldrin: le radici della questione morale stanno anche, e soprattutto, in pratiche culturali come queste.
Allora, sono d'accordo che la mentalità e, ahimè, l'italica celebrazione dei furbi sia alla base dei lati più sgradevoli del nostro carattere nazionale ed altresì un serio impedimento allo sviluppo economico. Tuttavia farei due osservazioni.
La prima è che l'assetto istituzionale può cambiare l'atteggiamento culturale che non è un dato ineliminabile. Mi spiego: se il sistema desse i giusti incentivi, la gente non scopiazzerebbe. In primis, inserire, come auspica pure Boldrin, maggiore competitività. Già ora negli esami di ammissione per le facoltà a numero chiuso si copia assai poco. Ma sono gli insegnanti i maggiori colpevoli: non essendoci per loro alcuna conseguenza negativa se i propri studenti imbrogliano, perché rendersi antipatici? Il massimo che può succedere è che poi alla maturità prendano un voto scarso, ma si potrà sempre dire che la commissione esterna era severa e, in ogni caso, chi ne farà loro un torto? Vi assicuro che evitare comportamenti truffaldini durante i compiti scritti a scuola o all'università è facilissimo e ne parlo per esperienza diretta: basta volerlo.
Seconda osservazione: mentre mi piace l'impegno a non far copiare (con punizione del "corrotto" e del "corruttore"), il dovere di denuncia mi sembra potenzialmente pericoloso ed inefficiente. Non solo perché la delazione è caratteristica dei sistemi totalitari e in ogni ordinamento penale liberale non c'è l'obbligo di denuncia di reati (quindi fatti ben più gravi) per il cittadino normale ma solo per determinate figure (ad esempio i pubblici ufficiali). Inoltre, le "esternalità negative" possono essere notevoli: so che un mio amico ha copiato per la prima volta, lo denuncio perché devo, rovino l'amicizia, e il clima in classe si inacidisce a fronte di che? Meglio lasciare la valutazione caso per caso agli individui che forzarli a spifferare. A far cantare le persone contro voglia si rischiano stonature e stecche.
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