E se posto fisso e a tempo determinato fossero categorie superate? E se intraprendenza e creatività fossero le vere chiavi per rendere un lavoro permanente, a dispetto della natura del contratto che lo regola?
«Il passato non ritorna, il futuro è di chi innova»: sul Sole 24 Ore di ieri Franco Locatelli ricordava la regola limpida, seppure spietata, che domina ora l'economia reale dopo le sbornie finanziarie. Dalle colonne del New York Times, mille miglia lontano dai dibattiti italiani sul revival dello stipendio a vita, il premio Pulitzer Thomas Friedman si è espresso sulla stessa lunghezza d'onda, additando negli innovatori i veri untouchables, gli "intoccabili" sul mercato del lavoro nell'era post-crisi subprime.
«Un mio amico avvocato di Washington mi ha recentemente parlato degli esuberi nel suo studio - ha ricordato Friedman -. Gli avvocati che avevano l'abitudine di trascinarsi in ufficio e di svolgere solo il lavoro che arrivava sul proprio tavolo sono stati i primi a saltare, per il semplice motivo che, con l'esplosione della bolla del credito, quel flusso di lavoro non c'era più. Mentre hanno prosperato quelli che avevano l'abitudine d'immaginare nuovi servizi, nuove opportunità e nuovi modi di procurarsi lavoro».
Sono loro gli "intoccabili", una categoria di persone che è anche la chiave per capire le sfide di fronte all'apparato scolastico degli Stati Uniti. «Il fallimento del nostro sistema educativo - ha osservato Todd Martin, ex dirigente delle attività globali di Kraft e PepsiCo - è il più importante fattore del declino della competitività del lavoratore americano, soprattutto nelle fasce medio-basse». Non basta accumulare diplomi e master. Per rimanere in corsa ci vuole il tipo giusto di formazione, che stimoli creatività, adattabilità e intraprendenza.
Chi sta aspettando che la recessione finisca, per avere di nuovo qualcuno che gli porti comodamente del lavoro da svolgere sul tavolo, si sbaglia di grosso, avverte Friedman. Ad avere posti intoccabili saranno quei lavoratori che in modo intelligente sapranno inventare strategie innovative per svolgere vecchi compiti, combinando tecnologie, utilizzando meno energia o soddisfacendo esigenze nascenti.
Una regola confermata dall'esperto di lavoro della Harvard University, Lawrence Katz. «Nel mercato del lavoro odierno si è comportata bene la metà superiore della popolazione proveniente dal mondo universitario - ha fatto presente il docente americano - quelli con le migliori capacità analitiche e di risolvere i problemi, che possono competere nel mercato globale, giocare d'azzardo nel sistema finanziario o confrontarsi con nuovi regolamenti governativi».
Male invece è andata, osserva Katz, l'altra metà, «quegli ingegneri e programmatori che svolgevano compiti di mera routine e non erano attivamente coinvolti nello sviluppo di nuove idee, nella ricombinazione di tecnologie o nella ricerca di soddisfare nuovi consumatori». La fascia alta della metà bassa, i diplomati tecnici, sono stati i più esposti alla concorrenza globale e all'immigrazione. Essere un ragioniere, un avvocato, un geometra o un operaio specializzato che svolge il proprio compito in modo ripetitivo non è più una garanzia.
Le scuole hanno un doppio arduo compito, conclude Friedman, «non solo migliorare le capacità di lettura, scrittura e aritmetica, ma stimolare imprenditorialità, innovazione e creatività». Forse su questa molteplice esigenza sarebbe meglio soffermarsi un po' di più, invece di dividersi sulla pura nostalgica riabilitazione del posto fisso, e attrezzare il sistema universitario di conseguenza. Negli Stati Uniti, come in Italia.