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E una Chiesa orfana parla di nuova presenza

di Emma Fattorini

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22 settembre 2009

Dai vescovi riuniti in questi giorni sale finalmente la preoccupazione per l'origine corrosiva dell'attuale degrado: la crescente scissione tra coscienza e comportamenti, tra convinzioni e scelte pratiche.

Una scissione che purtroppo corrode anche molti cattolici, specie quelli che più proclamano l'urgenza di principi morali. Parliamo di quello che nel senso comune si chiama coerenza e che tradotta in termini "teologici" potremmo definire l'unitarietà della persona, il suo sviluppo integrale.
È questo il cuore delle riflessioni di papa Ratzinger, al centro anche della sua ultima enciclica sulla questione sociale, la Caritas in veritate che dichiara la carità insufficiente senza la verità e viceversa: le scelte morali, ad esempio in materia sessuale, vanno sostenute insieme alla giustizia sociale. La persona va sostenuta nella sua integralità.

La chiesa cattolica italiana fatica ancora a stabilizzare i suoi equilibri interni, e, dopo tanta apparente compattezza, si riscopre orfana dei supporti di un tempo: la Democrazia cristiana, la presenza di un'ideologia comunista, avversaria ma rassicurante, la tenuta delle ideologie, ma soprattutto si sente ancora orfana di Karol Wojtyla.
Con il suo carisma, il papa polacco riusciva a "coprire", da solo, il rilancio identitario dei cattolici italiani sia sul piano religioso che politico. Suppliva al difficile ricambio del personale di curia e conteneva quell'esposizione mediatica della chiesa che era lui stesso a promuovere. Tutti questi fattori hanno interagito l'un contro l'altro fino a implodere, favorendo la pura ricerca del potere personale, come nell'ormai dilagante spirito dei tempi.

Garantire alla chiesa una totale e assoluta autonomia da qualsivoglia schieramento politico era stato l'obiettivo sapiente della Cei di Camillo Ruini: stare di fronte agli schieramenti e provocare la loro "generosità" presumendo un modello polacco, secondo la visione dello stesso Giovanni Paolo II. Solo che l'Italia non è la Polonia, così come la Polonia si rivelò dopo il comunismo assai meno cattolica.
Si possono fare tante analisi e compiere bilanci anche severi su come sono andate le cose. L'unica cosa certa è che la chiesa deve tornare ad essere una presenza meno dimostrativa e più interiore. Questo non significa, assolutamente, rifluire nella fede privatistica o puramente coscienziale, significa piuttosto fondare solo sulla roccia della fede la propria presenza nel mondo. Vanno in questa direzione i richiami pronunciati nelle settimane scorse da tanti vescovi: come quello di Dionigi Tettamanzi a «giudicare il nostro cristianesimo dai frutti più che dalle radici» o come ha detto monsignor Massimo Camisasca a «custodire l'essenziale».

Il bisogno di adesione interiore, anche nel dibattito pubblico, è indispensabile soprattutto nel caso dei temi cosiddetti eticamente sensibili che, invece di essere l'occasione di una vera vittoria della chiesa, rischiano di essere il suo più insidioso cavallo di Troia: lì dove sono in gioco questioni di civiltà, di moralità, di coscienza, di fronte ai problemi della vita e della morte non solo è penoso ma anche impossibile il puro scambio politico. Essendo questioni di "opinione pubblica" ciò che conta davvero è la formazione delle coscienze, non il divieto o la rissa.
Chiunque si avvicini alle questioni bioetiche con cuore sincero, per aiutare davvero nel concreto le persone, sa bene quanto le ragioni di un sentire comune siano superiori a quelle del confliggere. E dunque è necessario riprendere un nuovo dialogo con i laici mettendo al centro la persona. Ciò vuol dire meno scambio politico e appassionato investimento sulla formazione delle coscienze, in un comune, coinvolgente, progetto che veda insieme laici e cattolici. Capace però, d'ora in poi, di ascoltare tutte le posizioni presenti nella chiesa, senza censure ed esclusioni.

22 settembre 2009
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