La soppressione delle Province è un tema che, ciclicamente, emerge o affonda dagli anni dell'Unità d'Italia. Nel progetto della Costituzione, in sede di Costituente, sembravano destinate alla sparizione. Ma furono ripescate in Assemblea e negli anni Settanta, una volta partite le Regioni, fu Ugo La Malfa a tornare alla carica per abolire un ente intermedio considerato di dubbia e costosa utilità.
Non se ne fece nulla e non ebbe in seguito maggior fortuna il dibattito innescato dalla Commissione bicamerale presieduta da Massimo D'Alema. Fino al 2008, quando davvero sembrò di arrivare la "svolta". Da un lato sulla spinta di numerose indagini e denunce (tra le altre, il famoso rapporto del 2005 dei senatori ds Salvi e Villone sui costi della politica) e dall'altro su inziativa trasversale di diversi partiti, a cominciare dal Pdl che ne fece uno dei punti programmatici più forti.
A riprova di questo tentativo figurano, nero su bianco, sei progetti di legge di riforma presentati alla Camera da vari deputati del Pdl, dell'Udc, dell'Idv e del gruppo misto. Progetti esaminati congiuntamente in Commissioni Affari Costituzionali a partire dal maggio scorso con la regìa del presidente e relatore Donato Bruno(Pdl): un breve e a suo modo esemplare tratto di storia parlamentare, mentre il Governo, col ministro per la Semplificazione normativa Calderoli, nel luglio scorso annunciava l'approvazione «in via preliminare» del riassetto delle funzioni degli enti locali, compresa la «razionalizzazione» delle Province.
Cosa è accaduto ed accade? Semplice: i partiti rallentano, sono divisi (anche al loro interno), la Lega Nord (che è parte integrante della maggioranza) è contraria e la riforma s'è incagliata. Il presidente Bruno ne ha preso atto e ha così proposto la strada di un Comitato ristretto per capire se l'iniziativa potrà andare avanti. Ipotesi difficile, tanto che si va affermando l'idea che debba essere preliminarmente esaminata la riforma del Codice delle autonomie (in calendario da ben tre legislature) ancora in attesa di definitiva approvazione e terreno fertile di tensioni. Il ministro Calderoli deve mettere nel conto nuovi assalti: si prevede il taglio di circa tremila enti (enti di bonifica, enti parco, comunità montane etc) e di migliaia di poltrone.
Certo è che lo spettacolo andato in onda sulle province (il cui costo viene stimato tra i 10 ed i 17 miliardi) non lascia ben sperare. Al contrario, sembra di essere tornati, ad appena un anno dalle promesse, se non di taglio secco, di efficace razionalizzazione, nella fase di riflusso riformista che prelude ad un gattopardesco immobilismo. Esemplare la "chiusa" dell'indagine conoscitiva della Commissione Affari costituzionali il 30 luglio scorso. Parla Raffaele Maisto, rappresentante del Coordinamento nazionale nuove province: è necessario, dice, «ridisegnare tutta la mappa delle nuove province per un riequilibrio di alcune zone del Sud. Perché in Campania ci sono 6 milioni di abitanti e 5 province, mentre la Toscana o l'Emilia Romagna con 3,5 milioni di abitanti hanno 10-11 province. Se la Campania avesse avuto 15 province, non avremmo avuto l'emergenza rifiuti a Napoli».
Ecco, nel secolare dibattito dall'Unità d'Italia ad oggi, questa è una tesi che mancava.