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L'Italia cerca un'élite decisionista

di Carlo Carboni

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22 settembre 2009

Se per essere classe dirigente occorre dare l'esempio, allora generare classe dirigente a mezzo di classe dirigente è un processo che deve avvenire per merito. Dopo anni di ricerche sulle classi dirigenti, è possibile presentare il loro profilo ambivalente. Da un canto, si potrebbe ricordare che sono sempre più vecchie, fino a farci pensare alla gerontocrazia, sono largamente maschili, sono scarsamente internazionalizzate in quanto a curricula, hanno vistosi problemi di ricambio fino all'autoreferenzialità. È possibile anche descrivere la distanza che intercorre tra le classi dirigenti che gli italiani vorrebbero e come sono nella realtà. Secondo l'88,6% della popolazione italiana, la classe dirigente ideale ha visione e capacità di decisione, dovrebbe essere selezionata in base al merito e alle competenze (92,7%) e manifestare senso di responsabilità e trasparenza (89,8%).
La classe dirigente italiana invece, secondo gli italiani è da lungo tempo malata di indecisionismo, è selezionata in base alla ricchezza (68%) e alle buone relazioni (54,2 %), in barba al merito. Da questi dati si può ricavare l'idea che per essere classi dirigenti e non élite autoreferenziali occorrono tre ingredienti: visione/decisione, competenza, trasparenza/senso della legalità, tre componenti ascritte ad una leadership in grado di scambiare merito contro fiducia e consenso sociale.
Si potrebbe, inoltre, sottolineare che la stragrande maggioranza degli italiani pensa che, certo, l'applicazione del merito è ciò di cui l'Italia avrebbe bisogno per modernizzarsi. Ma poi molti di loro (56%) pensano che il merito sia solo una bella parola, dietro cui si nascondono particolarismi e corporativismi e che, alla fine, ognuno persegue cinicamente il proprio interesse. Potremmo infine continuare con le immancabili cattive notizie sulla "casta politica", mitica testimonianza di quanto le élite italiane fatichino ad assimilare e a mettere in pratica l'idea che la globalizzazione richiederebbe innanzitutto una forte riduzione delle posizioni di rendita e di privilegio diffuse nel sistema, di cui elevano l'entropia. Ne ha parlato di recente il ministro Brunetta nel suo linguaggio dirompente. Insomma, tutto sembra bloccato al momento, anche se la storia d'Italia ci insegna che circa ogni 20 anni assistiamo ad un terremoto - piccolo o grande - tra il ceto politico, proprio a causa di vizi storici nel ricambio e nella circolazione "ordinaria" delle élite italiane (come già Vilfredo Pareto un secolo fa). Anche in questo non siamo un Paese normale.
Tuttavia, l'analisi delle classi dirigenti non ci suggerisce solo nodi critici, di cui va tenuto conto, ma ci consente di individuarne punti di forza, tendenze positive da cui ripartire e di cui il sistema è disseminato. Ad esempio, ci ha sorpreso che la maggioranza degli studenti universitari intervistati - di sei importanti atenei - hanno mostrato non solo attenzione per i meccanismi di merito, ma ne hanno richiesto una più stringente applicazione. Peraltro, a questa tendenza all'applicazione del merito (docenti e studenti) ha trovato riscontro anche nell'opinione pubblica, la quale è tornata ad interessarsi del tema e gli stessi politici, per ora a parole, cercano di agire sul software della cultura sociale magnificando il merito.
Sembra venuta l'ora di applicare qualche ragionamento, a partire dagli ingredienti che creano merito: concorrenza, competenza, trasparenza. In secondo luogo, non è vero che abbiamo cattivi politici, cattivi medici, magistrati, sindacati non perché non sia anche così, ma semplicemente perché questo modo di ragionare catastrofista non porta a nulla, come il suo opposto, quel perfettismo che già Rosmini criticava. Lo abbiamo costatato con la nostra indagine sull'università. Come si legge nel 3° Rapporto Luiss, i fenomeni di sospetto nepotismo tra i docenti esistono, ma riguardano percentuali (19,4%) la cui riduzione è a portata di mano del riformismo operativo. Il merito nell'università è applicato nella maggioranza dei casi: si tratta di lubrificare meglio il motore e abbandonando il lamento contro l'immobilità delle baronie.
L'Italia ha, comparativamente, un'università di massa di buon livello medio, ma stenta a curare i suoi talenti e le eccellenze universitarie rischiano di annegare in una vischiosa medietas. Dobbiamo curare il livello di massa delle competenze cognitive e tecnologiche, ma dobbiamo accordare maggior sostegno e attenzione alle nostre eccellenze in campo accademico e della ricerca. Persino il ceto politico, visto dai cittadini come il maggior responsabile dei mali italiani (78,5%), è però ritenuto essenziale (84% della popolazione) per traghettare il Paese verso una ripresa.
C'è dunque domanda di buona politica, di una diversa e migliore politica più che antipolitica. C'è anche la consapevolezza che la porta stretta che si apre verso la ripresa nel Paese è proprio politica. C'è, infine, una terza buona notizia che emerge dalle ricerche sulle nostre classi dirigenti: riguarda quella parte del Paese che riscuote la fiducia dei cittadini. Si tratta dell'economia e del sapere italiani. Gli italiani riconoscono merito e capacità innovativa al mondo imprenditoriale e professionale (51,2%) al sistema scolastico, in particolare di istruzione primaria e secondaria (49,6%), alla cultura.
I piccoli e medi imprenditori confermano il loro posizionamento di vertice nell'immaginario popolare, un'icona positiva nella cultura sociale del Paese. Tutto può e deve essere migliorato. In conclusione, dalla ricerca impariamo che delle storture occorre averne consapevolezza, ma dei punti di forza e di merito dobbiamo andarne orgogliosi. Non solo a parole, ma mettendo in valore il nostro capitale cognitivo, le nostre risorse, riconoscendo il merito come straordinario metodo e valore democratico che ci aiuta a selezionare a prescindere dal censo, dal genere, dalla razza, dall'età.

22 settembre 2009
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