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IMMIGRAZIONE / Sul burqa niente veli (d'ipocrisia)

di Karima Moual

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23 Aprile 2010

In Belgio (crisi di governo a parte) Francia e a seguire in Italia, pare che i problemi dell'immigrazione siano il burqa indossato da qualche risicata minoranza di donne musulmane (in Francia se ne contano circa 1.900). Le proposte di legge che prevedono il divieto d'indossare il velo integrale in pubblico, se approvate, rappresenterebbero senz'altro un evento storico in sé, sulla nuova percezione europea della libertà individuale.

Come ho già dichiarato in un'altra occasione, per me una donna col burqa è una donna che non esiste. Se è Dio che l'ha creata, è assurdo che voglia annullarla. Non vederne il volto è come annullarne l'esistenza.

È senza alcuna ombra di dubbio che il burqa e il niqab siano simboli di sottomissione, a un uomo o a un Dio, che siano volontarie o meno, che possiamo condividere o non. Ma quante sono queste donne che portano il niqab e burqa? Non c'è già una legge chiara in materia, che chiarisce bene come il volto delle persone deve essere riconoscibile in luogo pubblico? Sì. E allora di cosa stiamo discutendo? Del nulla.

Ennesimo falso problema messo sul tavolo, per non prendere coraggio e affrontare i problemi veri dell'immigrazione in Europa che attendono ancora risposte. Ecco perché credo che in realtà questo dibattito sul burqa non sia altro che un burqa per coprire e non affrontare i veri problemi sull'immigrazione. E questo è il primo punto. Il burqa così come il niqab in realtà invade ormai da anni il nostro immaginario, non perché lo abbiamo incontrato personalmente, indossato dalla nostra vicina di casa piuttosto che da una sconosciuta, ma perché è l'immagine-simbolo, che i media "orientalizzanti" più volentieri scelgono come sfondo a un reportage sui temi riguardanti l'Islam piuttosto che la foto in prima pagina sui giornali, da riporto, sempre all'articolo in tema Islam.

Perché? Mediaticamente è forte, fa scena, incuriosisce e soprattutto ricostruisce ancora una volta l'immagine prefabbricata nella mente del telespettatore occidentale, del musulmano patriarca. Non a caso, nei manifesti per il referendum contro i minareti in Svizzera, era più la figura della donna con il niqab nero che i minareti a essere messa in rilievo. Quelle immagini forti, ci ricordano i talebani, la guerra, il terrorismo. È efficace, fa paura, e si è visto com'è andato il referendum. Una vittoria clamorosa.

Vietare però con una legge alle donne che portano il burqa d'indossarlo e rendere la vita impossibile a quelle che portano il solo velo islamico, è facile. Ma è poco ambizioso, poco coraggioso e soprattutto illiberale.

Bisogna essere per le scelte delle donne. Che partano dalle donne. Così come bisogna credere nell'intelligenza delle donne e dare loro gli strumenti quali la cultura e il tempo per capire, interpretare e scegliere loro stesse cosa è giusto o meno per loro. Solo attraverso un'investimento nella cultura e nella conoscenza possono essere libere e consapevoli delle loro scelte. Cos'è religioso, culturale e identitario per loro. Cosa rappresentano velo, burqa o niqab. Qualcosa o semplicemente un niente di cui liberarsene. Lasciarle libere di guardarsi allo specchio.

Questo è quello che si meritano: forza e coraggio, non qualcuno che ancora una volta gli vieti, senza dare loro la possibilità di capire. Questo è come violentarle ancora una volta, come corpi, come menti e come persone.

www.karimamoual.blog.ilsole24ore.com

23 Aprile 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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