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MERCATI E MERCANTI / L'inesorabile declino della «tripla A»

di Alessandro Merli

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23 dicembre 2009

Il declassamento del merito di credito della Grecia ha riacceso i riflettori sul rischio sovrano. Se Atene è ai margini della scena finanziaria internazionale, ci sono però altre capitali ben più importanti che possono scivolare nel rating. Da quando, a inizio anno, Irlanda e Spagna hanno perso la tripla A e il Regno Unito è stato messo sotto osservazione per un possibile downgrading, i mercati hanno cominciato a preoccuparsi anche di paesi finora ritenuti inattaccabili.
La tripla A, di cui si fregiano oggi solo 15 paesi, significa, nella definizione di Standard & Poor's, una capacità "estremamente forte" di far fronte alle proprie obbligazioni. La doppia A indica capacità "molto forte": può sembrare una differenza semantica, ma l'impatto sui mercati non sarebbe irrilevante. Soprattutto quando «non è inconcepibile», come sostiene Julian Jessop, di Capital Economics, che persino gli Stati Uniti possano subire un declassamento, o quanto meno l'assegnazione di una prospettiva negativa. L'esplosione post-crisi del debito pubblico è particolarmente marcata, osserva l'Fmi nell'ultimo rapporto al G-20, nei paesi industriali, alcuni dei quali ora a tripla A.

Le conseguenze del declassamento sul costo del debito e la reazione dei mercati potrebbero essere mitigate da due fattori: è di solito un evento annunciato con grande antecedenza (per il Regno Unito, S&P deciderà solo dopo le elezioni della prossima primavera) e quindi di effetto attenutato, come è avvenuto per Irlanda e Spagna; le condizioni economiche e finanziarie possono esercitare pressioni al ribasso sul costo del debito, bilanciando quelle al rialzo derivanti dal downgrading, come nel caso, all'inizio del decennio, del Giappone. Dove però una percentuale molto bassa del debito pubblico è in mano a investitori esteri, a differenza di Regno Unito e Usa. Le dimensioni stesse del debito americano farebbero dell'abbassamento del rating un evento d'enorme portata.

A questo punto bisognerebbe però porsi due domande: perché i rating delle tre grandi agenzie, nonostante queste siano state individuate fra i responsabili della crisi, continuano ad avere tanto peso? E che cosa si sta facendo per correggere la situazione? La prima risposta è che si tratta di un meccanismo semplice (almeno per quanto riguarda i rating sovrani, di certo non lo era per i prodotti strutturati) al quale gli investitori sono abituati e che ha sempre avuto una "certificazione" pubblica e una funzione di utility del sistema, seppure questa fosse nettamente incompatibile con gli scopi commerciali delle agenzie e i loro conflitti d'interesse.

Sulla seconda, il Financial Stability Board spiega che siamo in fase di consultazione sulla loro riforma, negli Usa, in Europa e altrove. Se però non si uscirà dalla crisi con un sistema sottoposto a supervisione efficace e concorrenza vera e depurato di conflitti d'interesse e opportunità di arbitraggio, i rating resteranno un ingranaggio della finanza che rischia di saltare ancora alla prossima crisi.

23 dicembre 2009
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