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Il dopo Montazeri / In Iran pasdaran senza ostacoli

di Farlan Sabahi

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23 dicembre 2009

«Il volto del tiranno non è coperto da una maschera, ognuno di noi ha la responsabilità di resistere all'ingiustizia perché è nella tradizione degli Imam infallibili lottare per la giustizia sociale: se gli Imam si fossero occupati soltanto di questioni religiose, sarebbero stati soggetti a maggiore oppressione e martirio». Così scrisse il grande ayatollah Montazeri nella fatwa dello scorso 10 luglio, sollecitata dalla repressione seguita alle contestate elezioni del 12 giugno e dalle domande del suo allievo Mohsen Kadivar, da un paio d'anni esule negli Stati Uniti.
Montazeri era un marja'e taqlid (fonte di emulazione) e nella gerarchia sciita ricopriva la posizione più alta. Nonostante l'età (aveva 87 anni) era consapevole come negli ultimi tempi si fosse passati dal velayat-e faqih (il governo del clero, pilastro della Repubblica islamica creata da Khomeini nel 1979) al velayat-e nezami (il regime dei militari). E per questo chiamava all'appello gli altri religiosi affinché non restassero in disparte perché dopotutto «Dio ha chiesto ai sapienti, in particolare ai sapienti di religione, di non restare in silenzio di fronte all'ingiustizia».

E i religiosi non sono mancati alla cerimonia funebre celebrata l'altro ieri al mausoleo di Masumeh Zahra, nella città santa di Qom. Alle esequie hanno partecipato i leader dell'opposizione Moussavi e Karrubi, un rappresentante del grande ayatollah Sistani (massima autorità religiosa sciita in Iraq) e due nipoti dell'ayatollah Khomeini dalla cui successione Montazeri fu estromesso vent'anni fa per le sue critiche alle esecuzioni di massa, per la vicinanza alla sinistra e i troppi nemici che tramavano alle sue spalle, in primis l'attuale leader supremo Khamenei e il potente Rafsanjani, oggi terza carica dello stato. Ma a rendere omaggio alla salma sono stati anche sei dei dodici maggiori ayatollah e tra questi Yussef Sanei, che ha definito il governo di Ahmadinejad «illegittimo» e ha osservato che «non potrà rovesciare la situazione con il terrore, le uccisioni, la tortura e la prigionia».

L'opposizione considera Sanei erede di Montazeri, ma le posizioni di questo religioso classe 1937 sono più moderne perché crede nell'uguaglianza di genere e ritiene che le donne possano diventare giudici, capo di stato e persino marja-e taqlid. Pur lottando da sempre per il rispetto dei diritti umani, sulle questioni di genere Montazeri era alquanto conservatore: non riteneva che le donne – tranne qualche eccezione – avessero le capacità per fare politica e per lui il diritto al divorzio doveva restare prerogativa dei mariti perché, come mi aveva spiegato qualche anno fa nella sua casa a Qom: «Voi iraniane siete troppo indipendenti e impulsive, basta farvi uno sgarbo e subito ci abbandonate, poi a noi uomini resta l'onere di trovare un'altra moglie per occuparsi della casa e dei figli».

Detto questo, i funerali dell'anziano Montazeri sono soltanto un momento nella sfida rappresentata dalla sua scomparsa. Le autorità ne sono consapevoli e infatti la polizia è in allerta in vista del 27 dicembre, che coincide con il settimo giorno dalla sua morte ma pure con il decimo giorno del mese di Muharram e quindi con l'Ashura, l'anniversario del martirio dell'Imam Hussein nella piana di Kerbela nel 680 d.C. Per l'opposizione questo evento sarà un'occasione ulteriore per protestare. Come lo sarà, in linea con la tradizione sciita, il quarantesimo giorno dalla morte del grande ayatollah. Per quanto lo sciismo e i suoi rituali possano sembrare arcaici, restano un elemento identitario di primaria importanza per gli iraniani. Non solo tra i ceti popolari, e questo anche se l'Iran di oggi sembra meno una Repubblica di ayatollah e piuttosto il regno dei pasdaran. Pasdaran che – si legge nella fatwa di Montazeri – «rischiano di ripetere l'errore dello scià che troppo tardi udì la voce della rivoluzione».

23 dicembre 2009
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