Deludono non poco le prime scelte del corpo diplomatico europeo dell'era post-Trattato di Lisbona. L'ambizione di dare una voce comune e autorevole all'Europa in politica estera s'infrange di nuovo contro il muro di 27 volontà politiche di piccolo cabotaggio. Si vede rimbalzare anche nella selezione delle feluche europee quel pragmatismo di basso profilo che ha portato alla presidenza della nuova Europa il belga Herman van Rompuy e, all'alta rappresentanza per gli Esteri, la baronessa Catherine Ashton. La mancata conferma in Afghanistan di uno stimato diplomatico come Ettore Sequi sulla poltrona di ambasciatore Ue, per soddisfare non si capisce quali equilibri comunitari, accresce il senso di delusione. A un profondo conoscitore della complessa realtà afghana si è preferito Vygaudas Usackas, un ex ministro degli Esteri lituano inciampato goffamente sulla questione della rendition di prigionieri islamici alla Cia. Così come non può entusiasmare la nomina del portoghese João Vale de Almeida, ex capo di gabinetto di José Manuel Barroso, ad ambasciatore Ue a Washington. Un eurofunzionario, seppure abile, dovrà così succedere a un ex primo ministro, l'irlandese John Bruton. Veramente difficile considerare le ambizioni europee in ascesa.
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