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Gli sterili lamenti europei contro gli Usa

di Philip Stephens

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23 gennaio 2010

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Nell'Unione Europea erano in molti a essere persuasi che l'approvazione del Trattato di Lisbona avrebbe affrancato il continente da circa un decennio di introspezioni costituzionali. Invece, ha messo in luce soltanto la limitatezza delle sue ambizioni. Si presumeva che il Trattato avrebbe dato una voce alla Ue negli affari globali. Invece, le nuove posizioni di presidente dell'Unione e di responsabile della politica estera sono state assegnate a politici noti per essere... assolutamente sconosciuti.

Anche la conferenza sul cambiamento del clima di Copenhagen ha portato alla medesima scomoda e imbarazzante conclusione. L'Europa si considerava alla testa dello sforzo finalizzato a rallentare il riscaldamento globale. A Copenhagen è stata affiancata da Washington e Pechino. Qualche giorno fa ho sentito un ministro britannico di spicco descrivere questo periodo specifico come una fase particolarmente «vergognosa» per l'Europa, per la Commissione europea, e per il nuovo presidente rieletto della Commissione stessa, José Manuel Barroso.
I fallimenti dovuti alla mancanza di una leadership hanno un impatto che va ben oltre le istituzioni dell'Unione Europea. La cancelliera tedesca Angela Merkel presta scarsa attenzione all'Europa e si è un po' sottratta ai riflettori internazionali. Sarkozy ha fallito in pieno il tentativo di dare un qualsiasi scopo strategico ai suoi frequenti scoppi di energia politica. Il premier britannico Gordon Brown sta per affrontare un'elezione che i sondaggi assicurano che perderà. Ovunque si guardi nel continente europeo - anche verso la Spagna o verso l'Italia - le cose stanno esattamente nello stesso modo.
È davvero difficile tenere il conto dei "summit" ai quali prendono parte i presidenti e i primi ministri dei paesi europei. Per quanto spesso questi leader si incontrino e dialoghino, tuttavia, assai di rado il loro sguardo si alza per osservare ciò che accade nel mondo in generale. Preferiscono piuttosto restare fissi a osservare le loro economie stagnanti, l'aumento della disoccupazione, i grossi deficit di bilancio.

Ho colto questo pessimismo durante un meeting, lo scorso weekend, tra Francia e Gran Bretagna. In massima parte i responsabili della politica e i grandi dirigenti delle aziende parlavano di Stati Uniti e Cina, chiedendosi se le due grandi potenze mondiali finiranno con lo scontrarsi o col collaborare. Nessuno è parso sicuro della risposta, ma l'opinione maggiormente condivisa è che in entrambi i casi il ruolo dell'Europa resta marginale, di semplice spettatore. Non disposto a investire nell'"hard power" per competere (o integrare?) la potenza militare degli Stati Uniti, il continente europeo sarebbe ben presto lasciato indietro dai colossi economici asiatici.
Forse questo umor nero passerà. Lo spostamento del centro di gravità del pianeta dall'Atlantico al Pacifico non sarebbe stato in ogni caso facile per un continente da sempre al centro della civiltà. Con una leadership, l'Europa tuttavia potrebbe ancora scoprire di avere importanti punti di forza.
Con volontà politica e strategia potrebbe ancora essere un attore di primo piano sulla ribalta internazionale. L'alternativa, altrimenti, è la profezia di declino che si autoavvera.
Traduzione di Anna Bissanti

23 gennaio 2010
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