Pochi italiani rappresentano il paese più del commissario tecnico della Nazionale di calcio: e se poi questo Ct ha anche vinto un Mondiale come Marcello Lippi, fama e carisma toccano il cielo. Dovrebbe perciò stare più attento Lippi quando, dal suo dominio legittimo di sì e no a Cassano, Balotelli, Cannavaro e Grosso, affronta temi tosti quali cittadinanza, italianità, rappresentanza. Era già intervenuto parlando di «oriundi» a proposito di calciatori che hanno ottenuto il nostro passaporto, come se la Costituzione discriminasse tra «vecchi e nuovi cittadini» e non accogliesse invece tutti come uguali. Convochi dunque chi vuole, ma lasci perdere diritti di sangue e tradizione. Altrettanto goffo è definire l'Inter una squadra «non italiana». L'oriundo canadese Marchionne toglie la «I» alla sigla Fiat? Un francese alla Scala la rende straniera? Gli «oriundi» nel rugby non hanno bandiera? Se l'Italia ha un filo di speranza di mantenere un quarto posto Champions lo deve all'Inter, che ha presidenza, sede, proprietà, tifosi, stadio, tradizione e giocatori importanti italiani. Per esempio quel Materazzi che - Lippi ricorderà - ebbe una particina nella finale di Berlino 2006.