Quello delle medie imprese, eccezionale punto di forza del sistema italiano, risulta tra i più fertili terreni dove albergano luoghi comuni, miracolismi e amnesie. In particolare quando, a proposito di un fenomeno caratteristico dello sviluppo italiano, vi si affianca una lettura politico-sociologica sui destini del capitalismo e sulla fine tendenziale della sua variante italica, quella a trazione familiare.
Di volta in volta, le medie imprese sono sì formidabili ma pur sempre troppo chiuse nei reticoli di una crescita familiare (che spesso non s'affida a un management qualificato) dagli orizzonti angusti. E poi sono imprese di successo, certamente, ma non potrebbero fare di più se si ponessero in un'ottica di sviluppo dimensionale accelerato? Perché non si quotano in massa sul listino di Piazza Affari? Non si accorgono che senza uno sbocco "ufficiale" sul mercato dei capitali non potranno rafforzarsi, trovare un'alternativa al credito bancario e reggere la sfida sui mercati più competitivi del mondo?
Sì, le medie imprese, insomma il Quarto capitalismo, sono protagoniste di una rivoluzione silenziosa. Ma questa sobrietà localista, di nicchia, non segnala forse una riluttanza alla trasparenza, un riflesso condizionato (anche qui, con radice familiar-familistica) all'opacità e una tendenza a chiudersi a riccio, nonostante si presentino come le "multinazionali tascabili"?
Intendiamoci. La dimensione può essere un problema, e lo stesso può dirsi della successione generazionale e del controllo societario, tema spinoso, dai Berlusconi agli Agnelli e da qui ai capitalisti più piccoli e locali. Quanto allo sbarco in Borsa, perché no, quando l'operazione è coerente con il progetto industriale? È vero che ci sono molte medie aziende con le carte in regola per quotarsi, che così facendo arricchirebbero anche un listino industriale "privato" divenuto assai gracile. In questo senso, sono già in campo iniziative utili: l'accordo tra l'Associazione bancaria e Borsa italiana per promuovere la quotazione e aumentare le opportunità di raccolta per le imprese; e le "azioni di sviluppo" con l'intesa tra Confindustria e Borsa italiana, in modo da offrire nuovi strumenti per crescere senza mettere in discussione il controllo. Sempre in un'ottica di crescita, arriva ora il neonato "superfondo" voluto da governo e Confindustria che mette sul piatto delle imprese un miliardo.
Ma va anche ricordato che moltissime imprese hanno fondato il loro successo non sulla dimensione (e sulle prospettive di uno sbarco in Borsa) ma piuttosto sulla loro capacità di presentarsi sui mercati esteri con prodotti innovativi e di altissima qualità, insomma con un'idea imprenditoriale esclusiva che non si basa sulle economie di scala e sulla logica del prezzo più basso.
La recentissima indagine Mediobanca-Unioncamere ci dice che sono appena 19 le imprese del Quarto capitalismo presenti a Piazza Affari, che la solidità patrimoniale delle oltre 4.500 aziende censite è forte e che scarso è il ricorso alla finanza. Pochi debiti bancari (per finanziare il circolante) e "piedi per terra", come ha detto il direttore generale di Mediobanca Renato Pagliaro, con molti imprenditori che ricorrono all'autofinanziamento per realizzare i loro investimenti.
Il capitalismo familiare all'italiana è anche questo. Silenzioso e di successo.
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