Un anno fa i socialisti e la sinistra francese tutta erano commiserati per il loro stato comatoso. Oggi sono sugli scudi per aver sbaragliato l'Ump, il partito del presidente Sarkozy, e aver conquistato 21 regioni su 22. Ma se i de profundis di allora erano fuori tono, lo sono anche le laudi e i trionfalismi di oggi.
Il successo della gauche, così come il suo tonfo alle ultime europee, sono frutto di tre fattori diversi che poco hanno a che fare con tendenze di lungo periodo o spostamenti di fedeltà dell'elettorato, e che hanno qualcosa da insegnare anche a noi per valutare meglio i risultati delle prossime regionali.
Il primo fattore riguarda il tipo d'elezione: quelle amministrative, e a maggior ragione quelle europee, sono elezioni con una posta in gioco poco rilevante. L'elettore vota più liberamente o, al limite, più "distrattamente" perché non si decide sul governo del paese. Certo, le elezioni locali sono su un gradino più alto rispetto alle europee in quanto si eleggono degli amministratori il cui operato incide sulla vita quotidiana dei cittadini più dei parlamentari di Strasburgo. E quando si tratta di scegliere degli amministratori entra in scena il secondo fattore: la reputazione. I presidenti delle regioni francesi hanno goduto di ottima stampa. Sono stati riconosciuti loro molti meriti, su vari piani, in particolare quello della promozione culturale. Per questo - anche per questo - gli elettori li hanno riconfermati in massa.
Terzo fattore, la partecipazione elettorale. Alle regionali di domenica scorsa i francesi hanno disertato le urne più che in passato (ma meno rispetto alle europee dell'anno scorso). Questo dato ha varie implicazioni. Da un lato indica che i transalpini hanno "votato con i piedi" per sfiducia sia nei confronti della politica tout court, che nei confronti di chi li governa. Dall'altro lato, però, segnala che la vittoria socialista è molto più fragile di quanto non appaia perché è stata ottenuta senza spostamenti di fronte. Il serbatoio elettorale della sinistra non è stato alimentato da elettori della droite scontenti del presidente. Questi ultimi sono rimasti a casa. Oppure sono passati al Front national.
Infine, entrambi gli schieramenti, sinistra e Ump, hanno perso consensi tra gli strati popolari, attratti ancora una volta dalla sirena populista di Jean-Marie Le Pen. Questo elettorato, che era stato convinto dal Sarkozy versione 2007, non è rifluito a sinistra bensì è tornato all'estrema destra. Questa è l'ombra che grava sulla "vittoria" socialista. Mentre un tempo era l'elettorato informato e di classe medio-alta a fluttuare tra gli schieramenti, ora è quello popolare a scegliere di volta in volta: privo ormai degli antichi legami di fedeltà di classe alla sinistra, si muove su tutto l'asse destra-sinistra, privilegiando spesso le posizioni più estreme, anche e soprattutto di destra. Senza una strategia volta a riconquistare quell'elettorato, il Ps non potrà ripetere l'exploit di domenica alle prossime presidenziali.
Tutti queste chiavi interpretative del voto francese ci aiutano a inquadrane nella giusta prospettiva il risultato delle regionali di domenica prossima. In primo luogo, non va dimenticato il reale oggetto del contendere. Anche se il nostro presidente del consiglio, contrariamente a Sarkozy, ha usato toni esasperati parlando addirittura di "scontro di civiltà" e di referendum sulla sua persona, la posta in gioco rimane quella del controllo del potere locale. Anche da noi varranno le valutazioni, o le impressioni, dei cittadini sull'équipe che ha governato nella regione. E questo rimane l'atout maggiore del Pd.
Inoltre, il "morale" dei francesi è ben più depresso del nostro: in Italia la preoccupazione per il futuro non induce a uno stato di "depressione generalizzata" come accade in Francia, nonostante i loro indicatori economici siano nettamente migliori dei nostri. Ciò significa che la protesta, sia in forma di astensionismo massiccia che di punizione al governo sarà probabilmente minore. Anche perché l'insoddisfazione dei ceti popolari viene efficacemente veicolata da un partito di governo come la Lega. Ragion per cui anche una sinistra eventualmente vittoriosa dovrà porsi il problema dei loro cugini d'Oltralpe: come recuperare i ceti popolari.